Perché l’Italia dovrebbe copiare la legge elettorale della Francia

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Si riparla di cambiare il sistema elettorale e torna la querelle tra proporzionalisti e maggioritaristi. La preferenza per l’una o l’altra delle posizioni rimanda al dilemma tra il rappresentare e il governare: il voto serve a portare in Parlamento la più ampia gamma possibile di posizioni o a favorire maggioranze omogenee? Vogliamo qui concentrarci sulla funzione del governare. Essa, a differenza di quanto spesso si tende a far confusamente credere, non riposa tanto su un sistema che fa sì che il voto indichi una chiara maggioranza di qualunque natura, quanto sul fatto che i grandi partiti sono sovra-rappresentati e ciò aumenta la possibilità di formare governi monocolore o con pochi partiti affini.

Il dibattito italiano sta invece facendo risorgere opzioni che interpretano la soluzione maggioritaria come volta a garantire comunque governi, magari con coalizioni posticce, piuttosto che come uno strumento per favorire le grandi formazioni e portarle a competere per allargare il consenso. In questa direzione va la rievocazione di sistemi proporzionali percepiti come maggioritari in virtù di premi di maggioranza nazionali (modello Italicum). Peraltro soluzioni del genere accantonano uno dei pregi che solitamente accompagna i maggioritari: il collegio uninominale, con candidati chiaramente visibili. Il Mattarellum salva il collegio. Tuttavia, esso fornisce, più che l’incentivo a cercare il consenso più ampio, l’occasione per coalizioni raffazzonate. Un difetto sta nella possibilità per più liste di sostenere un unico candidato. Inoltre, nell’unico turno può realizzarsi (e in Italia si realizzò) la spartizione dei collegi tra i partiti, resa meno costosa dal fatto che i partiti che nel collegio x non hanno un candidato non devono rinunciare ad apparire. Negli anni del Mattarellum la frammentazione fu, infatti, comunque alta.

Soluzioni proporzionali con premio e Mattarellum possono portare all’immediata formazione di un governo, ma non garantire un governo governante. Nulla impedisce a un partito di sottrarsi alla coalizione, aprendo la strada a nuove elezioni o a nuove maggioranze. Se, dunque, sistemi proporzionali con premio istituzionalizzano l’eterogeneità delle maggioranze, il Mattarellum, e in generale il maggioritario a turno unico, la consentono ampiamente. Questo non accade certo in Gran Bretagna; ma qui bisogna ricordare l’insegnamento di Sartori: l’effetto costrittivo dei sistemi elettorali dipende dalla presenza di un sistema di partito consolidato. Con un sistema fragile e frammentato può accadere di tutto.
Qui è “la” questione: incaponirsi a immaginare sistemi elettorali utili solo per costruire coalizioni vincenti elude non solo il problema della omogeneità, ma anche quello della natura dei partiti (e tout se tient). A rischio di implosione, estremisti, chiusi e anchilosati, piccoli e litigiosi che siano, oggi appaiono tutti disfunzionali a una sana dinamica di competizione. Invischiati nell’ossessione delle coalizioni si rischia di coalizzare gusci vuoti. Dunque?

Dunque, se di sistemi elettorali si vuole ragionare, si potrebbe guardare al maggioritario a doppio turno con collegi uninominali. La Francia ha mostrato come esso penalizzi i partiti estremi, che con un solo turno avrebbero più possibilità di guadagnare seggi. Inoltre, pur incentivando gli accordi, li sottopone al doppio vaglio degli elettori che al primo turno possono premiare il candidato preferito, costringendo i partiti a essere comunque competitivi senza adagiarsi sulla coalizione. Le spartizioni al primo turno, pur possibili, sono meno probabili, poiché si lascia aperta la porta alla possibilità di misurarsi. In Francia, per decenni la sinistra le evitò, gollisti e centristi le utilizzarono, anche se nei periodi di tensione le riducevano per tornare a competere nei collegi. I partiti piccoli, inoltre, vedono ridotto il loro potere di ricatto perché al secondo turno, non superando la soglia, spariscono. Insomma, il doppio turno di collegio qualche incentivo in più ai partiti per fare il loro mestiere lo pone. In Italia consentirebbe forse di aggredire il problema che è a monte di quello di formare governi: avere partiti con una credibilità guadagnata sul campo. Anche attraverso una sana competizione, cosa diversa dalla malsana creazione di fragili “cartelli”.



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