perché non ci sarà gara per il 98% dei lavori pubblici- Corriere.it

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Lo hanno chiamato «Codice Salvini» e così lo celebra la Lega, che individua nell’approvazione del 28 marzo da parte del Cdm del decreto legislativo sul nuovo Codice degli appalti la molla che farà ripartire il “Cantiere Italia”. Lo stop ai bandi per i lavori pubblici sotto i 5 milioni di euro deciso dal dlgs, «significa appalti più rapidi – fanno sapere dal Carroccio -, con un risparmio di tempo (solo per gli affidamenti senza gara si risparmiamo da sei mesi a un anno), più autonomia agli enti locali con particolare riferimento ai piccoli comuni, corsia preferenziale per le forniture italiane ed europee, digitalizzazione con risparmio di carta e incombenze burocratiche».

A regime le deroghe decise durante il Covid

In sostanza, per i sostenitori — in primis il ministro Matteo Salvini — si tratta di un Codice taglia-burocrazia che opta per una più snella procedura a inviti; per i detrattori invece è il Codice emergenziale varato da Draghi durante il Covid e che ora diventa strutturale (per il segretario nazionale di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni, il nuovo Codice fa tornare «indietro di mezzo secolo il lavoro in Italia, con meno tutele per la sicurezza dei lavoratori, con subappalti selvaggi, con il ritorno di fatto allo sfruttamento»). Di fatto, l’entrata in vigore del nuovo codice mette a regime tutte le deroghe varate durante la pandemia per accelerare i piccoli appalti e quelli di medio importo, alzando la soglia prevista dal Codice del 2016 a partire dalla quale è d’obbligo la gara d’appalto.

I conti dell’Anac

Guardando l’ultima relazione annuale dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac), si può facilmente calcolare l’impatto della resa strutturale delle deroghe emergenziali: il 98,7% dei lavori pubblici potrà essere assegnato direttamente o con procedura negoziata senza bando, dunque senza una gara pubblica alla quale tutti possano partecipare. Si tratta, praticamente, della quasi totalità dei lavori. Secondo Anac, infatti, nel 2021 le stazioni appaltanti hanno dato l’ok a 62.812 procedure per l’assegnazione di lavori pubblici (43,4 miliardi di euro), di cui 61.731 con valore inferiore ai 5 milioni di euro, ovvero al di sotto della soglia fissata dall’Unione europea di 5,38 milioni che fa scattare l’obbligo della gara d’appalto. Il 98,7% dei lavori, appunto.

Le altre novità: «Spallata al partito del No

Ma le novità non sono finite. Come spiega la stessa Lega, il nuovo Codice degli appalti, il cui testo tiene conto dei pareri espressi dalla Conferenza unificata e dalle competenti Commissioni parlamentari, dà una spallata al «partito del No», poiché è «previsto il dissenso qualificato, principio per cui le amministrazioni pubbliche avranno una cornice più limitata in caso di contrarietà a un’opera». Inoltre, dal primo gennaio «tutti gli scambi di informazione avverranno su una piattaforma digitale nazionale, in modo che le imprese non debbano presentare la stessa documentazione più di una volta», mentre «i piccoli Comuni potranno procedere ad affidamenti diretti fino a 500 mila euro e per il primo anno avranno più opzioni per scegliere la stazione appaltante qualificata, allargando il recinto che prima prevedeva solo le Province». Infine, i Municipi più piccoli avranno semplificazioni sul personale: «le funzioni di Rup potranno essere affidate ai dipendenti in servizio anche con contratti a tempo determinato. Non manca la clausola per accelerare i pagamenti (è garantita la possibilità per l’esecutore di emettere fatture anche al momento dell’adozione del SAL)», conclude il Carroccio.

Opposizione e sindacati sul piede di guerra. Le perplessità dell’Ance

Perplessità sul nuovo Codice degli appalti sono state espresse dall’Ance, che tramite il suo presidente, Federico Brancaccio, ha puntato il dito sul passaggio relativo alla «concorrenza, in particolare nei settori speciali che di fatto potrebbero sottrarre al mercato il 36% del volume dei lavori pubblici». Intanto, le opposizioni non si rassegnano: «Sul Codice degli appalti faremo le barricate in Aula», ha detto Michele Gubitosa, parlamentare del Movimento 5 Stelle, mentre il Pd annuncia che sabato sarà in piazza con i sindacati, che hanno annunciano protesta. «Il primo aprile saremo in piazza con la Uil per chiedere modifiche al governo», ha detto Alessandro Genovesi, segretario generale di Fillea Cgil, la categoria degli edili. «Se non arriveranno risposte, dal primo luglio, quando il nuovo Codice degli appalti entrerà in vigore – spiega il segretario in un’intervista a La Repubblica – siamo pronti ad avviare una stagione di vertenze sindacali e legali a partire dalle responsabilità delle stazioni appaltanti: Comuni, Regioni, Anas, Ferrovie. Qui siamo passati dal fare presto e bene, a spendere a prescindere e non per forza bene».

Un mercato meno trasparente?

Il nuovo Codice degli Appalti non piace a Genovesi «perché questo governo con la mano sinistra mantiene, sulla carta, le tutele conquistate negli anni: la parità economica di trattamento e stesso contratto per lavoratori in appalto e subappalto, il Durc di congruità, il rispetto del contratto nazionale degli edili. Ma con la mano destra di fatto le toglie, allungando senza limiti il subappalto e aumentando il rischio di infiltrazioni», precisa il sindacalista, aggiungendo: «Il mercato sarà meno trasparente con l’assegnazione diretta o a inviti degli appalti fino a 5.382.000 euro». Il ministro Salvini parla però di rivoluzione e di un sistema che sarà più semplice e veloce. «Vorrei capire come sarà possibile – conclude Genovesi – far rispettare il piano sicurezza in un cantiere con 7 capi cantieri diversi e lavoratori che neanche si conoscono. Vorrei capire come si limitano le infiltrazioni mafiose . Come si evita il dumping. Come si impedisce il riciclaggio».



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www.corriere.it
2023-03-29 12:55:41 ,

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