Il 7 dicembre un canale Telegram israeliano con 270mila iscritti ha pubblicato foto e video di decine di prigionieri palestinesi allineati lungo le strade di Gaza, bendati e spogliati dei vestiti fino alla biancheria. I detenuti, affiancati da soldati di Israele, sono stati descritti come guerriglieri di Hamas, ma tra loro sono stati riconosciuti tantissimi civili e anche un giornalista. Le immagini hanno provocato l’intervento del Comitato internazionale della Croce rossa, che ha sottolineato l’obbligo di trattare tutti i prigionieri con umanità e dignità, come previsto dal diritto internazionale.
Sono molti i problemi legati al materiale filmato dalle Forze di difesa israeliane e pubblicate da numerosi media. Il primo riguarda la violazione dell’articolo 13 della Convenzione di Ginevra, che proibisce la pubblicazione di foto e video dei prigionieri di guerra per tutelarli dalla “curiosità del pubblico” e impone alle parti di trattarli con umanità e dignità. Oltre all’intervento della Croce rossa, anche il consigliere per la sicurezza nazionale di Israele, Tzachi Hanegbi, ha dichiarato che le foto dei prigionieri in mutande “non servono a nessuno” e che Israele deve smettere di distribuirle, come riporta il Times of Israel.
Poi c’è il problema della localizzazione. Inizialmente le immagini dei prigionieri palestinesi sono state presentate come riprese a Khan Younis, nel sud di Gaza, dove Tel Aviv sostiene si trovi una roccaforte della leadership di Hamas. In realtà, le scene si sono svolte nel nord di Gaza, a Beit Lahia, come indicato dal collettivo di geolocalizzazione GeoConfirmed. In più, come riporta il giornalista del Fatto Quotidiano Youssef Siher, le scene sembrano essere state appositamente orchestrate per motivi propagandistici.
Infatti, in due video riportati dal giornalista, si vede un prigioniero palestinese ripetere una scena dove, mentre già spogliato assieme a altri detenuti, consegna le armi agli israeliani. Tuttavia, nelle prime immagini si vede reggere un fucile con la mano destra e un soldato israeliano indicargli cosa fare. Mentre nelle seconde, lo stesso prigioniero ripete l’identica scena reggendo però l’arma con la mano sinistra e il soldato israeliano non essere più inquadrato, come se i militari avessero deciso di fare una seconda ripresa, perché poco soddisfatti del primo girato.
Infine, c’è la questione del ruolo dei prigionieri. Come riporta il Guardian, le immagini non rappresentano la resa di alcuni guerriglieri di Hamas a seguito di uno scontro, ma il risultato di un rastrellamento condotto casa per casa, in una zona già devastata dall’invasione israeliana. Tra le persone riprese si troverebbe anche un ragazzo di 13 anni, un giornalista del media in lingua inglese The New Arab, Diaa Al-Kahlout, assieme ai suoi fratelli e quattro parenti di Hani Almadhoun, dirigente dell’Agenzia delle Nazioni unite per il soccorso dei rifugiati palestinesi (Unrwa).
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di Kevin Carboni www.wired.it 2023-12-11 11:46:40 ,