Quel che Monti non racconta sulla lettera Bce anti-Berlusconi

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Nella lettera inviata il 29 settembre 2011 – nel pieno della crisi dell’euro dovuta alla crisi finanziaria mondiale – di cui parlava ieri Mario Monti sul Corriere della Sera, il presidente uscente della Bce Jean Claude Trichet e il successore Mario Draghi chiedevano all’Italia (il Paese dell’euro con il più elevato debito pubblico, il 119% del Pil) una serie di riforme di accompagnamento alla manovra che la Bce, con lo stesso Draghi, aveva deciso di fare per difendere l’euro. Anche con il famoso whatever it takes, cioè con tutte le misure possibili, così come poteva fare la Banca centrale degli Usa, la Federal Reserve, come prestatore di ultima istanza, stampando carta moneta.

Draghi allora giustificava l’intervento monetario estremo con il mandato per la «stabilità monetaria»: impedire sia l’inflazione che la deflazione, cioè la discesa dei prezzi verso lo zero. La vendita del nostro debito infuriava, ma non era solo speculazione. La Deutsche Bank e altre banche vendevano i nostri titoli per coprire i loro buchi finanziari. Silvio Berlusconi, capo del governo di coalizione con la Lega e altri partiti di centrodestra di cui era leader, aveva predisposto anche lui un «bazooka» come quello di Draghi. Non era monetario ma fiscale: un piano di privatizzazioni di beni pubblici per 400 miliardi che avrebbe ridotto il nostro debito del 25%, riducendo il rapporto debito/Pil dal 119% al 105%. Il circolo virtuoso così creato ci avrebbe portato a deficit e debiti sostenibili.

Il piano era stato preparato e discusso con il gruppo parlamentare del Popolo della libertà, prima a livello tecnico e poi in Parlamento, assieme a un gruppo di 4 esperti costituito da Rainer Masera e Paolo Savona – i due massimi esperti di politica monetaria e fiscale dell’Italia, entrambi originariamente capi dell’ufficio Studi della Banca d’Italia -, dal ministro Renato Brunetta e da me, consulente del gruppo parlamentare Pdl. Il progetto, discusso alla Camera e al Senato, era stato presentato al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il 14 novembre 2011, onde ottenere il reincarico di formare il governo. Infatti il IV governo Berlusconi il 12 novembre era stato bocciato nella votazione sul bilancio consuntivo per un voto, con molti assenti. Il bilancio consuntivo non è un atto di governo, ma un documento tecnico. Non dovrebbe fare cadere il governo. Ma così si decise. Napolitano non ritenne rilevante il piano di privatizzazioni. La lettera della Bce chiedeva anche una riforma del mercato del lavoro. Il governo Berlusconi aveva messo nel decreto Milleproroghe di fine anno i contratti aziendali di produttività. Napolitano aveva tolto dal Milleproroghe questa norma perché «non pertinente al decreto». La Bce aveva chiesto riforme per la concorrenza, che erano state predisposte dal ministro delle Attività produttive. Esse trovavano la resistenza di alcuni monopolisti, così come le privatizzazioni di inefficienti compagnie locali di servizi pubblici.

La lettera di Trichet e Draghi non poneva termini draconiani. Ma il presidente Napolitano preferì varare il governo tecnico Monti, che con la patrimoniale sugli immobili e la riforma delle pensioni Fornero creò la decrescita del Pil e l’aumento del deficit e del debito pubblico. Seguirono Enrico Letta, Matteo Renzi eccetera. E il debito che prima della pandemia era al 119% salì al 135% del Pil.





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