La figura di Alcide De Gasperi nelle parole della figlia Maria Romana morta questa notte a 99 anni. La guerra, la politica, la famiglia
Il padre la teneva d’occhio dal ritratto sulla parete dello studio — mi piace perch restituisce bene i suoi occhi azzurri — e dalla foto sul tavolino. In un’altra foto Alcide De Gasperi teneva in braccio la sua bambina, la sua primogenita Maria Romana, morta oggi a quasi cent’anni. Adorava il padre, ma non ne parlava come di un santo. Ti restituiva l’idea di un uomo vivo e pieno di passioni. Il suo primo ricordo di lui fu quando usc dalle carceri fasciste. De Gasperi fu preso dalla polizia sul treno che da Roma lo portava a Firenze. Lo portarono a Palazzo di Giustizia in catene, con altri detenuti. Si sentiva sicuro che l’avrebbero mandato libero: in fondo era un deputato che criticava il governo. Lo condannarono a quattro anni di carcere. A mia madre raccont che non era riuscito neppure a piangere; mormor solo il nome di Dio. Lo riportarono incatenato a Regina Coeli. Da l mi scrisse: “Mia cara pupi, sii brava e prega tanto la Madonna per il tuo povero pap”.
Un giorno la guardia lo scopr dallo spioncino mentre scriveva sulla parete della cella con uno spillo, sfuggito alle persecuzioni corporali. Era una frase del Vangelo: “Beati qui lugent quoniam ipsi consolabuntur”. Beati coloro che piangono, perch saranno consolati. La guardia chiam il suo capo, che costrinse mio padre a cancellare la frase con il manico del cucchiaio di legno. Pap comment che era stato gentile, perch non l’aveva punito. Dalla finestrella intravedeva l’orto botanico. Mi scrisse: “C’ dentro un usignolo e la sera quando canta penso a te; e la notte quando, bassa all’orizzonte, vedo una stella penso a te e a Lucia”, la mia sorellina, che era nata da poco.
Poi arriv il Natale del 1927. E pap decise di farmi un regalo. Non aveva soldi e in ogni caso non avrebbe potuto comprarmi nulla. Cos ritagli le fotografie di una rivista che gli avevano mandato in carcere, il National Geographic Magazine. Erano immagini della Palestina. Pastori con le pecore. I prati fioriti della Galilea, con il mare di Tiberiade sullo sfondo. Siccome le didascalie erano in inglese, lui le traduceva. E aggiungeva qualche riga per raccontarmi la storia di Ges. E mamma mi leggeva la storia ad alta voce.
Quel carcerato divenne presidente del Consiglio, per otto anni consecutivi, come non pi accaduto a nessuno. L’importante non perdere mai la speranza, neanche nell’ora pi buia. Pap dal carcere ci scriveva: “Miei cari, dormite in pace; io sono presente”. In cella si ammal. Lo portarono in ospedale, ma sempre con la porta aperta, e la guardia di fuori. Fu liberato dopo 14 mesi. Il primo vero ricordo che ho di lui quando torn a abitazione. Non sapevo che fosse stato in prigione, mi avevano detto che era in una citt lontana, per lavoro. Lucia rifiut di abbracciarlo: “Tu non sei il mio pap, il mio pap quello l” diceva indicando la sua fotografia. Con le figlie era dolcissimo. Se combinavamo qualcosa, mamma ci avvisava: “Lo dico a pap!”. Ma noi eravamo tranquille perch sapevamo che pap non ci avrebbe fatto niente. Io ero innamoratissima di lui. A tavola mia madre sedeva alla sua destra, io alla sua sinistra. Appena lui diceva qualcosa, io aggiungevo: “Ha ragione pap!”.
La sorella di Maria Romana, Lucia, si fece suora. “Poi nacque Cecilia. Pap voleva un maschio per chiamarlo Paolo: era molto devoto a san Paolo. Ma arriv un’altra bambina; e fu chiamata Paola. Nei giorni di festa comprava sette paste, una per ogni familiare, perch in abitazione abitava sua sorella, zia Marcella. A Natale per oltre al presepe facevano l’albero: un retaggio austroungarico. Pap trov un posto nella biblioteca del Vaticano. All’inizio fu dura, molti lo guardavano con sospetto. Lavorava il mattino, lo ricordo all’una attraversare una piazza San Pietro enorme e vuota, senza sedie, senza transenne… Il pomeriggio per arrotondare faceva traduzioni dal tedesco, che parlava come l’italiano: lui dettava ad alta voce, mamma batteva a macchina. Ogni tanto mi assegnava una piccola missione. Nei giorni delle manifestazioni del regime, si temevano arresti e perquisizioni. Allora pap mi affidava un pacco con il suo diario e le sue carte, da portare alla vicina del piano di sotto, che era una brava persona. Un giorno spunt un ritaglio con il suo nome. Solo allora capii chi era. E lui mi raccont la sua vita politica. Ero ancora bambina, ma stavo gi dalla sua parte.
Quando entrarono i tedeschi a Roma si dovette nascondere. Era chiuso in Laterano, con lui c’era Pietro Nenni. Arrivarono i nazisti, i preti li fecero scendere nei sotterranei. Nenni disse a pap: “Tu la chiami Provvidenza, io lo chiamo Fato; ma mi sa che stavolta finita”. Invece si salvarono, per dovettero cambiare nascondiglio. Pap si rifugi nel palazzo di Propaganda Fide, in una stanzina sul tetto. Io andavo a trovarlo in bicicletta, mi vestivo tutta colorata per sembrare una ragazza in gita. Nel cestino, sotto la verdura, nascondevo i suoi articoli per i giornali clandestini e i messaggi per i resistenti. Una volta ero in tram quando il pacco si lacer, un passeggero mi disse: “Forse meglio se scende”. Dopo la guerra volevano darmi una medaglia. Pap disse che non era il caso. E del Duce cosa diceva? Non ne parlava mai. Solo una volta in Liguria, davanti a un assalto di sostenitori che picchiavano le mani sul vetro per invitarlo a fermarsi, mi disse: “Ora comprendo Mussolini. difficile capire se fanno cos perch hai combinato qualcosa di buono, o perch sei il capo”.
30 marzo 2022 (modifica il 30 marzo 2022 | 11:54)
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Aldo Cazzullo , 2022-03-30 09:31:59
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