Quell’odio classista dietro il reddito di cittadinanza

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REDDITO DI CITTADINANZA
CAPRO ESPIATORIO

Il reddito di cittadinanza c’era già. Si chiamava reddito di inclusione. Una rara misura afferente alla Costituzione in tema di protezione dei deboli. Era meno a casaccio di quello giallo-verde prima, giallo-qualcosa dopo, giallo-tuttimenomeloni ora. Ma di quello si trattava.
Cambiò nome quando Di Maio decise di abolire la povertà, salì su un balcone per proclamarne la fine (della povertà, non del reddito) e ricevette gli applausi entusiastici di quattro gatti probabilmente richiamati su una chat scolastica, forse quella della classe elementare di Toninelli. Sembrava una manifestazione in epoca Covid-19, che manco c’era. Ma erano tutti entusiasti.

Questo per dire che la misura si presta a ogni ironia. Io stesso ci ho campato per anni, quasi fosse il mio personalissimo reddito di cittadinanza. Non solo perché l’assegno in sé, per la sua attribuzione sgangherata, quanto soprattutto perché doveva fare da cappello a una riforma del mercato del lavoro basata sulla trasformazione radicale dei centri d’impiego e sull’assunzione dei cosiddetti navigator, destinat nell speranz a trovar lavor ad altr tiz ma purtropp molt poc efficac, perché, quand si mett un parol ingles a cazz in un disegn di legg, tip jobasct, c’è sempr un fregatur.

Non è successo nulla. I navigator oggi cercano lavoro solo per loro stessi. A fatica. Perché l’esperienza svolta non depone a favore di talenti illimitati, diciamo. E soprattutto esserlo stati, navigator, non fa ‘sto curriculum. Tra l’altro Di Maio, a differenza di molti suoi colleghi, qualche lavoro l’aveva persino svolto. E il fatto che fosse umile, lungi dall’essere un freno, portava con sé una grande opportunità. Conosceva gli ultimi, prima di diventare un ragazzo immagine da barca di lusso. Quindi poteva cogliere l’opportunità che invece ha clamorosamente fallito.

Però chi gioisce a ogni pie’ sospinto dei cosiddetti furbetti del reddito è in malafede. Mi spiego: fossimo in Svezia, sarebbe indicatore del fallimento di un qualunque provvedimento il fatto che ne usufruisca chi non deve. Configurerebbe una falla del sistema. Un evento. Un sintomo inatteso da affrontare con toni drammatici.

Il reddito Siccome invece ci situiamo ben oltre la linea delle palme, non ci si dovrebbe stupire che i denari destinati ai poveri siano finite nelle tasche dei più, chiedo venia, stronzi. Dei mafiosi, anche. Degli evasori fiscali, che spesso coincidono. Di chi il lavoro l’aveva già. Di chi il lavoro lo pagava in nero e faceva versare allo Stato una differenza.

Cosa c’è di diverso dalla Sanità, che paghiamo a chi evade? Cosa c’è di diverso dalle strade, che facciamo percorrere a chi le ha costruite tenendosi il pizzo? Cosa c’è di diverso dalla scuola, che regaliamo, pubblica o privata che sia, a chi si permette quella privata perché si tiene in tasca i soldi della collettività? Nulla. Ma siccome il problema è endemico, ci indigna di meno o per nulla.
Morale: il reddito ci fa schifo, o fa schifo a lorsignori, principalmente perché è una cosa per poveri, e non solo perché è stata mal concepita, peggio disegnata, malamente gestita. Per questo, qui e ora mi ricredo: non era mica male, come idea. Poi, come al solito, l’abbiamo gestita noi.

GIUDIZIO: NON GIUDICABILE



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