Silvio Berlusconi rinuncia alla candidatura a presidente della Repubblica e lo annuncia nel vertice di centrodestra convocato online: «Lavoreremo con i leader del centro-destra per concordare un nome in grado di raccogliere un consenso vasto»
Furioso, amareggiato, deluso, stanco. E assente. Silvio Berlusconi lascia la scena agli alleati e dopo giornate tormentate da calcoli e dubbi, scioglie la riserva: non si candiderà al Quirinale.
L’operazione scoiattolo
Non è andata in porto l’operazione scoiattolo, non ci sono numeri tali da permettere di tentare un’impresa che a questo punto non sarebbe solo impossibile, ma suicida. E lui di chiudere la sua storia politica impallinato al voto non ha alcuna voglia.
Non è sceso a Roma
Si era capito negli ultimi giorni che la storia volgeva al termine, e la modalità con cui si è aperta ed è proseguita la giornata è stata la cronaca della morte di una candidatura annunciata. Non è sceso a Roma il Cavaliere, ha fatto sapere che si sarebbe collegato da remoto, e così a quel punto hanno fatto tutti gli altri. Prima però ha voluto convocare il suo stato maggiore e i ministri e sottosegretari, anche loro collegati in Zoom. Ma non si è fatto vedere, la scena è stata lasciata ai fedelissimi Tajani e Ronzulli che facevano trapelare come ancora la decisione non fosse stata presa. Un’assenza, la sua, che ha alimentato le voci sul suo stato di salute, in giorni di grandissimo stress personale.
La rinuncia
In ogni caso, Berlusconi ha fatto sapere la sua scelta agli alleati pochissimo prima del vertice, perché anche qui ha deciso di non presentarsi, mandando in vece sua gli stessi Tajani e Ronzulli, con quest’ultima che ha letto un suo comunicato in cui appunto si annunciava la rinuncia in nome della «ricerca dell’unità che serve al Paese», la necessitò che «questo governo vada avanti» e l’annuncio che il centrodestra farà una proposta in grado di unire il Paese.
«I numeri ci sono»
Nella nota Berlusconi ringrazia tutti quelli che lo hanno sostenuto, a partire dalle forze di centrodestra fino al Ppe, e assicura di aver verificato «dopo innumerevoli incontri» l’esistenza di «numeri sufficienti per l’elezione». Ma «ponendo sempre l’interesse collettivo al di sopra di qualsiasi considerazione personale, ho riflettuto molto, con i miei familiari ed i dirigenti di FI, sulla proposta ricevuta» concludendo che «l’Italia oggi ha bisogno di unità, al di là della distinzione maggioranza-opposizione» per combattere pandemia e crisi economica.
«Continuerò a servire il Paese»
Per questo, è necessario anche che il governo Draghi «vada avanti» e «completi la sua opera fino alla fine della legislatura». Lui, assicura, continuerà «a servire il mio Paese in altro modo, come ho fatto in questi anni, da leader politico e da Parlamentare Europeo, evitando che sul mio nome si consumino polemiche o lacerazioni che non trovano giustificazioni che oggi la Nazione non può permettersi».
Il nome giusto
Quindi, la palla passata agli alleati, con i quali giura che collaborerà. Da oggi «lavoreremo con i leader del centro-destra – che rappresenta la maggioranza nel Paese ed a cui spetta l’onere della proposta – per concordare un nome in grado di raccogliere un consenso vasto in Parlamento», una figura «capace di rappresentare con la necessaria autorevolezza la Nazione nel mondo», sperando che si sappia compiere la scelta «nel tempo più breve possibile e con un’ampia convergenza».
L’onore delle armi
Scontato l’onore delle armi arrivato subito da Salvini e Meloni, concordi nel dire che il Cavaliere «rende un grande servizio all’Italia». Ma adesso bisognerà compiere quel passo che finora è apparso più che arduo. Chi candidare? Il tutto con la complicazione di non avere più un baricentro unificante, ma ciascun partito una sua via privilegiata e un centrodestra già sull’orlo della crisi di nervi. Da FI fanno sapere che «non c’è un veto» su Draghi, ma che è impossibile pensare di eleggerlo al Colle se non esiste un accordo blindato sul governo. La Meloni – smentendo del tutto i veti su Draghi che durante il vertice sono stati illustrati dai partecipanti e che l’hanno fatta infuriare- insiste: il centrodestra «ha diritto di esprimere una candidatura», se non fosse possibile servirà comunque un capo dello Stato «autorevole e che possa difendere gli interessi nazionali».
Salvini al centro dei giochi
Al centro dei giochi, c’è Salvini. Che ha voluto assumere il ruolo di king-maker e che annuncia: «Il centrodestra ora avrà l’onore e la responsabilità di avanzare le sue proposte senza più veti dalla sinistra». In mezzo, ci sono i centristi che premono perché la legislatura prosegua sperando in una legge elettorale proporzionale. E c’è la consapevolezza che il vantaggio acquisito in termini di prima mossa, con la rinuncia di Berlusconi viene a cadere. E ora si ricomincia. Senza appuntamenti fissati, con l’incarico di compilare una rosa ma con tante divisioni.
22 gennaio 2022 (modifica il 23 gennaio 2022 | 00:10)
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