Quirinale, il nome «da concertare» e il fattore Recovery nell’elezione- Corriere.it

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di Monica Guerzoni

Chi punta su Draghi premier fino al 2023 spera in Mattarella. Le voci sui papabili

«Se Mario Draghi trasloca al Quirinale, si va a elezioni». Molti parlamentari lo pensano (e lo temono) e Giorgia Meloni lo ha detto giorni fa con una battuta: «È uno degli elementi che potrebbero convincermi a sostenerlo al Quirinale… E infatti non mi pare che siano in molti a lavorare sull’ipotesi di Draghi al Quirinale». In realtà, pur nel silenzio torrido dei palazzi della politica svuotati dalla pausa estiva, i partiti sono già in movimento per l’appuntamento più importante da qui a fine legislatura.

Sergio Mattarella è stato eletto il 3 febbraio del 2015, il suo mandato scade tra sei mesi. Ma ormai da settimane l’ipotesi di un possibile «bis» del presidente — per quanto lui stesso l’abbia energicamente esclusa — è il presupposto di ogni riflessione. Il deputato del Partito democratico Stefano Ceccanti è convinto che «Mattarella si dovrà sacrificare» e lo dichiara senza giri di parole. Prima di tutto perché il costituzionalista dem non vede in giro nessun candidato in grado di tenere unita la sua parte politica e di prendere voti nell’altro campo: «Si aprirebbe una guerra tra bande e il Parlamento rischia di restare bloccato per un mese in seduta comune». La seconda ragione, a sentire Ceccanti, riguarda la stabilità dell’Europa: «Da settembre, quando scadrà il suo mandato alla guida del governo tedesco, Angela Merkel non prenderà più parte al Consiglio europeo. E quindi ai fini della stabilità della Ue occorre che Draghi resti a Palazzo Chigi. Perché dopo la cancelliera tedesca il presidente del Consiglio italiano sarà, di fatto, il punto di riferimento in Europa».

Al Nazareno del Quirinale «non si parla fino a Natale», ma anche per Enrico Letta la chiave del «risiko» è a Bruxelles: i miliardi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che il segretario ritene «una occasione irripetibile per l’Italia», sono legati all’approvazione delle riforme, per cui è fondamentale che Draghi resti capo del governo fino al 2023. Anche se Letta pubblicamente non lo dice, ne consegue che il Pd, quando sarà il momento, si aggrapperà alla giacca di Mattarella per convincerlo a restare al Colle. Sia pure sottovoce il pressing è già partito, ma il presidente della Repubblica non ha cambiato idea e nonostante il consenso altissimo e trasversale di cui gode continua a pensare che non sia proprio il caso di ragionare su un secondo mandato. Meno che mai a tempo.

La linea dem sul destino del Quirinale si incrocia con quella dei renziani di Italia viva, che ritengono prioritaria l’attuazione del Pnrr sotto la guida di Draghi. Lunedì a Viareggio l’ex premier Matteo Renzi ha ricordato come il suo lavoro per far eleggere Mattarella «fu straordinario» e ha lasciato intendere che i 45 voti dei deputati e dei senatori di Italia viva saranno determinanti: «Nel 2022 la destra avrà più voti della sinistra ma non bastano, e la destra spero che aprirà il confronto. E non lo aprirei con Italia viva soltanto ma con tutti. La maggioranza deve essere più ampia possibile». La grande domanda è se il nome del prossimo inquilino del Colle più alto verrà fuori da una concertazione, o da una contesa tra i partiti. «Qualsiasi soluzione di parte rischia di schiantarsi» avverte Federico Fornaro, il capogruppo di Liberi e uguali alla Camera. Per averne riprova basta leggere il lungo e velenoso post con cui il vicepresidente del gruppo del Movimento 5 Stelle al Senato, Gianluca Ferrara, prova a stoppare le presunte ambizioni quirinalizie di Silvio Berlusconi: «Perché Matteo Salvini anela a far eleggere un pregiudicato per frode fiscale?». Ferrara va giù pesante e fa capire con quali umori dovrà scontrarsi chi pensasse di eleggere un capo dello Stato senza (o contro) i 5 Stelle: i gruppi di Giuseppe Conte avranno pure perso una cinquantina di parlamentari, ma sono pur sempre la prima forza della maggioranza. Non a caso si dice siano in discesa le quotazioni della ministra Marta Cartabia, la cui riforma della giustizia è stata avversata e poi faticosamente trangugiata dal Movimento.

Tanti nomi, da qui a febbraio, saliranno e scenderanno dalle montagne russe. Di Pier Ferdinando Casini si parla come del candidato di Renzi, eppure è stato proprio il fondatore di Iv a osservare che l’ex presidente della Camera «è adatto per il Quirinale, ma non è l’unico». A destra c’è Giancarlo Giorgetti, classe 1966. Poi Gianni Letta, Maria Elisabetta Casellati e Marcello Pera, di cui alcuni azzurri parlano come della «carta coperta». A sinistra l’elenco dei papabili è infinito e va da Romano Prodi a Dario Franceschini, da Walter Veltroni a Paolo Gentiloni.

Quanto a Draghi, giorni fa il premier ha rimesso il suo orizzonte «nelle mani del Parlamento». Parole che hanno sorpreso i capigruppo di maggioranza, con i quali non ha ancora mai fatto un incontro. Ma cosa vuol fare l’ex capo della Bce, restare a Palazzo Chigi o «salire» al Quirinale? A sentire collaboratori e ministri l’interpretazione è semplice: «Tutto dipende da cosa deciderà il capo dello Stato». Se Mattarella resta al Colle, Draghi può continuare la sua mission, realizzare le riforme del Recovery e avviare la ricostruzione dopo l’incubo della pandemia.

«Se invece Mattarella a fine mandato lascia — prevede un esponente del governo — sarà il premier a scendere in campo per il Quirinale». A quel punto si andrà a votare. A meno che i partiti non accettino che Daniele Franco, o altra personalità di fiducia di Draghi, prenda il suo posto alla guida del governo.

10 agosto 2021 (modifica il 10 agosto 2021 | 23:16)



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