È stato il ministro cinese dell’Ecologia e dell’Ambiente Huang Runqiu, in rappresentanza del suo paese che presiede la COP15 sulla biodiversità a Montreal, a suggellare abbassando il martelletto che l’accordo è approvato. Dopo oltre dieci giorni di negoziato in Canada, lavori preparatori che sono andati avanti per quattro anni e la riproposizione dei blocchi che si era vista a COP27, i Paesi partecipanti hanno concordato una tabella di marcia per proteggere il 30% della biodiversità del Pianeta entro il 2030 e per sostenere con 30 miliardi di dollari in aiuti annuali la conservazione nei Paesi in via di sviluppo.
In Canada sono circa le 4 del mattino quando l’accordo è raggiunto dopo un ultimo intoppo, perché pochi minuti prima dell’approvazione il rappresentante congolese aveva espresso ancora la propria obiezione: i Paesi africani non hanno nascosto infatti il loro disappunto sull’approvazione, tanto che un rappresentante del Camerun ha detto che si è trattato di una forzatura e il rappresentante dell’Uganda ha chiesto di mettere a verbale che non appoggiava la procedura, parlando addirittura di frode.
Tuttavia, molti tra i rappresentanti delle organizzazione per la conservazione della natura si dicono soddisfatti e l’accordo è definito “storico”. “L’accordo rappresenta un’importante pietra miliare per la conservazione del nostro mondo naturale e la biodiversità non è mai stata così in cima all’agenda politica e commerciale, ma può essere compromesso da una lenta attuazione e dalla mancata mobilitazione delle risorse promesse.
Manca inoltre un meccanismo obbligatorio di accelerazione, che responsabilizzi i governi ad aumentare l’azione se gli obiettivi non vengono raggiunti. Ora dobbiamo vedere l’attuazione immediata di questo accordo, senza scuse o ritardi: la natura e tutti noi che dipendiamo da essa per il nostro sostentamento, le nostre economie e il nostro benessere hanno aspettato abbastanza, è ora che la natura torni a prosperare”, ha dichiarato Marco Lambertini, direttore generale di Wwf international.
Insieme agli obiettivi principali ci sono nel testo alcune novità particolarmente interessanti, come il riferimento a un’azione per “ridurre l’impronta globale del consumo in modo equo, dimezzare lo spreco alimentare globale, ridurre in modo significativo l’iperconsumo e ridurre in modo sostanziale la produzione di rifiuti”. L’inserimento dell’aggettivo “equo”, rimanda in questo caso alla contrapposizione dei due blocchi di Paesi al vertice: è evidente che se nel Nord del mondo il problema è “l’iperconsumo”, nel Sud le sfide da affrontare sono altre e il tema della giustizia sociale, come già sottolineato a COP27, non si può scindere dalla tutela della biodiversità.
Un altro dei punti che ha visto impegnati i Paesi del Sud del mondo è la tutela dei diritti e della capacità decisionale delle popolazioni indigene. Così il testo stabilisce che si garantisca “una rappresentanza e una partecipazione piena, equa, inclusiva, efficace e rispondente alle esigenze di genere nel nel processo decisionale, e l’accesso alla giustizia e alle informazioni relative alla biodiversità da parte delle popolazioni indigene e delle comunità locali, nel rispetto delle loro culture e dei loro diritti su terre, territori, risorse e conoscenze tradizionali”.
Cosa stabilisce l’accordo
Il testo dell’accordo comincia proprio con la descrizione di una situazione gravissima: “Allarmati dalla continua perdita di biodiversità e dalla minaccia che questa rappresenta per la natura e per il benessere umano”, vi si legge, i Paesi si sono accordati su sei punti fondamentali.
- Proteggere il 30% del Pianeta entro il 2030
È l’obiettivo principale del testo, cioè “che, entro il 2030, almeno il 30% delle aree terrestri, delle acque interne, costiere e marine (…) sia effettivamente conservato e gestito”. Ciò avverrà “attraverso reti di aree protette ecologicamente rappresentative, ben collegate e gestite in modo equo” e “garantendo che qualsiasi uso sostenibile (…) sia pienamente compatibile con gli obiettivi di conservazione”. L’obiettivo è quindi globale, non nazionale, e implica che alcuni facciano più di altri, o che facciano più a terra che in mare. Il 30% è la soglia minima per scienziati e ong, che ritengono necessario il 50%. Ad oggi, il 17% della Terra e l’8% del mare sono protetti.
- Aiuti internazionali per 20miliardi di euro
Come detto, i negoziati hanno visto un lungo processo di contrattazione tra il Nord e il Sud del mondo: maggiori ambizioni ecologiche in cambio di maggiori sussidi internazionali e viceversa. Alla fine, il testo approva l’obiettivo per i Paesi ricchi di fornire “almeno 20 miliardi di dollari all’anno entro il 2025 e almeno 30 miliardi di dollari all’anno entro il 2030”. Si tratta di circa il doppio e il triplo degli attuali aiuti internazionali per la biodiversità. L’obiettivo è per i “Paesi sviluppati e i Paesi che assumono volontariamente gli obblighi dei Paesi sviluppati”, membri della Convenzione sulla diversità biologica (CBD), una nuova formulazione, questa, che consente di includere gli Stati Uniti, che non sono firmatari della Convenzione, e apre la strada all’inclusione della Cina o degli Stati arabi tra i donatori, secondo l’Unione Europea. La COP15 ha anche approvato la creazione di un nuovo ramo del Fondo mondiale per l’ambiente (GEF), dedicato all’attuazione dell’accordo di Kunming-Montreal: un’alternativa al fondo separato che molti Paesi del Sud sperano ancora di ottenere in futuro.
- Ripristino del 30% dei terreni degradati
Un punto importante in discussione è stato l’impegno a non limitarsi alla protezione di aree indicate come riserve naturali, ma a ripristinare la biodiversità in aree urbane o degradate. In merito il testo chiede che “almeno il 30% degli ecosistemi terrestri, marini, costieri e marini degradati sia effettivamente ripristinato entro il 2030”.
Si tratta di un altro punto oggetto di accese discussioni e contrattazioni, soprattutto tra l’Unione Europea e Paesi grandi produttori agricoli come il Brasile, l’India e l’Indonesia. L’accordo prevede di “ridurre i rischi e gli impatti negativi dell’inquinamento da tutte le fonti entro il 2030 a livelli non dannosi per la biodiversità”. Per raggiungere questo obiettivo, i firmatari devono, tra l’altro, “ridurre di almeno la metà il rischio complessivo derivante dai pesticidi e dalle sostanze chimiche altamente pericolose”, anche attraverso il controllo dei parassiti, tenendo conto della sicurezza alimentare e dei mezzi di sussistenza. I Paesi dovrebbero anche “prevenire, ridurre e lavorare per l’eliminazione dell’inquinamento da plastica”.
- Revisione delle strategie nazionali
Praticamente nessuno degli obiettivi fissati nel precedente accordo del 2010 ad Aichi, in Giappone, è stato raggiunto entro il 2020. Imparando da questo fallimento, i Paesi hanno adottato un meccanismo comune di pianificazione e monitoraggio con indicatori chiari. E una possibile revisione delle strategie nazionali, se i Paesi non sono sulla strada giusta. Ma il testo è meno vincolante dell’accordo sul clima di Parigi.
- Condivisione dei profitti su farmaci e cosmetici
Un altro punto che ha visto particolarmente impegnati i Paesi del Sud del mondo, oltre a quello sui finanziamenti, è stato il tema della mancata condivisione dei profitti ottenuti dal Nord da farmaci o cosmetici derivati dalle loro risorse biologiche. Queste risorse sono diventate miliardi di dati genetici digitalizzati che vanno a beneficio quasi esclusivamente della ricerca e dell’economia dei Paesi ricchi. Il testo chiede l’istituzione di “un meccanismo globale per la condivisione dei benefici derivanti dall’uso delle informazioni di sequenza digitale (ISN/DSI) delle risorse genetiche, compreso un fondo multilaterale”.
Gli altri obiettivi
Questi sono i punti principali, inclusi in 23 obiettivi esplicitati nel testo che prevedono:
- azioni di conservazione per le specie in via di estinzione
- la riduzione del rischio di trasmissione di malattie dovuta a traffico illegale di specie selvatiche
- azioni di mitigazione della diffusione di specie aliene
- la riduzione al minimo dell’impatto dei cambiamenti climatici e dell’acidificazione degli oceani sulla biodiversità
- uso sostenibile degli ecosistemi sfruttati per agricoltura, pesca o legname
- aumento della superficie, la qualità e la connettività, l’accesso e i benefici degli spazi verdi e blu nelle aree urbane e densamente popolate, in modo sostenibile
- adozione di misure legali, amministrative o politiche per incoraggiare e rendere possibile l’attività imprenditoriale, e in particolare per garantire che le grandi imprese e le istituzioni finanziarie transnazionali monitorino, valutino e rendano noti regolarmente i loro rischi, le loro dipendenze e i loro impatti sulla biodiversità
- ridurre l’impronta globale del consumo in modo equo, dimezzare lo spreco alimentare globale, ridurre in modo significativo l’iperconsumo e ridurre in modo sostanziale la produzione di rifiuti
- garantire la capacità decisionale delle popolazioni indigene nel rispetto delle loro culture
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[email protected] (Redazione di Green and Blue) , 2022-12-19 11:46:26 ,
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[email protected] (Redazione di Green and Blue) , 2022-12-19 11:46:26 ,
Il post dal titolo: Raggiunto l’accordo alla Cop15 per proteggere il 30% del Pianeta entro il 2030 scitto da [email protected] (Redazione di Green and Blue) il 2022-12-19 11:46:26 , è apparso sul quotidiano online Repubblica.it > Green and blue