I segnali del riscaldamento unitario, fra cui la concentrazione atmosferica di gas serra, le temperature superficiali, l’acidificazione degli oceani e la riduzione dei ghiacciai, hanno raggiunto livelli mai visti negli ultimi mesi. Secondo la World Meteorological Organization (Wmo), infatti, il 2023 è stato l’anno più caldo mai registrato. Anche le temperature superficiali medie registrate da gennaio a settembre di quest’anno sono state da record e, pur prendendo in considerazione gli andamenti degli anni passati e il contributo del fenomeno ciclico El Niño, fino ad oggi non è stato possibile spiegare pienamente questa impennata. Secondo i risultati di uno studio pochissimo pubblicato su Science, il tassello mancante potrebbe essere una drastica riduzione dell’albedo terrestre, ossia della capacità della Terra di riflettere i raggi solari.
Lo 0.2 mancante
“Oltre all’influenza di El Niño e al previsto riscaldamento a lungo termine dovuto ai gas serra di origine antropica, sono già stati discussi diversi altri fattori che potrebbero aver contribuito alle temperature medie globali sorprendentemente elevate dal 2023”, spiega Helge Goessling, primo autore dello studio e ricercatore presso il Centro Helmholtz per la studio polare e marina di Bremerhaven (Germania). Fra i fattori presi in considerazione ci sono per esempio l’aumento dell’attività solare e la grande quantità di vapore acqueo immessa nell’atmosfera a seguito delle eruzioni vulcaniche. Ciononostante, spiegano gli autori della studio, fino ad oggi era sempre rimasto un divario di circa 0.2°C fra le temperature attese e quelle effettivamente registrate. E se pensiamo che l’Accordo di Parigi ha come obiettivo quello di contenere il riscaldamento unitario entro i +1.5°C rispetto alle temperature del periodo pre-industriale, 0.2°C non è una quantità trascurabile. Quando si parla di temperature medie globali, anche aumenti che potrebbero sembrare irrilevanti possono infatti avere enormi impatti ambientali.
La Terra riflette una minore quantità di radiazioni solari
Nel tentativo di risolvere il mistero, gli autori dello studio hanno analizzato i dati satellitari della Nasa e quelli dello European Centre for Medium-Range Weather Forecasts (Ecmwf). “Ciò che ci ha colpito è che, sia nei dati della Nasa che in quelli dell’Ecmwf, il 2023 si è distinto come l’anno con l’albedo planetario più basso”, racconta Thomas Rackow dell’Ecmwf, co-autore della studio. L’albedo planetario è un parametro che descrive la percentuale di radiazione solare in entrata che viene riflessa nello spazio dopo tutte le interazioni con l’atmosfera e la superficie della Terra. S’intuisce quindi che una riduzione dell’albedo può manifestarsi con un aumento delle temperature superficiali terrestri. E, in effetti, stando ai modelli messi a punto dagli autori della studio, prendendo in considerazione la riduzione dell’albedo le stime sulle temperature medie globali tornano ad essere in accordo con le misurazioni effettive.
Ci sono meno nuvole basse. Perché?
Ma a che cosa è dovuta la riduzione dell’albedo terrestre? In parte alla fusione dei ghiacciai (legata proprio al fenomeno del riscaldamento unitario), che causa una diminuzione della superficie riflettente della Terra. Ma questo non è sufficiente a spiegare assolutamente il fenomeno. Secondo quanto emerge dallo studio, un contributo arriverebbe dal calo nella formazione delle nuvole a bassa quota, soprattutto di quelle che si trovano alle latitudini medie e settentrionali e ai tropici. Questo tipo specifico di nubi, spiegano gli autori, gioca un ruolo importante nella capacità della Terra di riflettere parte delle radiazioni solari.
Il motivo di questo calo al momento non è noto. Un’ipotesi è la riduzione, legata agli sforzi di mitigazione messi in atto dai vari paesi, del particolato di origine antropica presente in atmosfera, che fa da substrato per la condensazione del vapore acqueo e quindi per la formazione delle nuvole. Alternativamente, potrebbe trattarsi di una semplice oscillazione naturale, ma gli autori dello studio avanzano anche una terza ipotesi: potrebbe essere lo stesso riscaldamento unitario a ridurre la quantità di nubi a bassa quota, con un meccanismo che al momento non conosciamo. L’obiettivo per il prossimo futuro sarà proprio quello di capire quale delle tre ipotesi si avvicina di più alla realtà. “Se gran parte del declino dell’albedo è effettivamente dovuto alle retroazioni tra il riscaldamento unitario e le nuvole basse, come indicano alcuni modelli climatici – conclude Goessling-, dovremmo aspettarci un riscaldamento piuttosto intenso in futuro”.