Ritardi e costi elevati dei vaccini in Africa, allarme dell’Oms

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AGI – L’Africa dovrà aspettare “settimane se non mesi” prima di ricevere dosi di vaccino anti-Covid approvato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), mentre si trova alle prese con una seconda ondata più mortale della prima e con la preoccupante variante sudafricana. Lo riferisce la Bbc mentre sono in corso trattative per accelerare le consegne al continente rimasto molto indietro rispetto ai Paesi ricchi del Nord del mondo.

Sulla base di intese raggiunte e varie iniziative, i vaccini venduti al continente costeranno di più e quando arriveranno non saranno nemmeno sufficienti. Al momento sono previste circa 900 milioni di dosi, che basteranno a vaccinare solo il 30% della popolazione continentale di 1,3 miliardi. Gli ingenti ordini fatti dalle nazioni ricche, le carenze di finanziamento, i regolamenti e i requisiti della catena del freddo hanno rallentato il processo di lancio dei vaccini in Africa. “Il mondo è sull’orlo di un catastrofico fallimento morale e il prezzo sarà pagato con vite e mezzi di sussistenza nei paesi più poveri” ha avvertito Tedros Ghebreyesus, capo dell’Oms.

Il 95% delle vaccinazioni i 10 Paesi ricchi

Finora nessuno dei principali vaccini è stato ancora somministrato in Africa, mentre in Europa le vaccinazioni sono formalmente cominciate lo scorso 27 dicembre. Di conseguenza si stanno moltiplicando gli appelli a favore di una maggiore equità nella distribuzione dei vaccini. Secondo dati rilanciati da più fonti, 40 milioni di dosi sono state somministrate nei 49 Paesi a più alto reddito, il 95% dei vaccini eseguiti lo sono stati in soli 10 Paesi mentre una sola nazione a basso reddito ha ricevuto 25 dosi. “Non 25 milioni, non 25 mila ma solo 25” ha deplorato Tedros senza precisare il nome del Paese povero in questione. 

I paradossi dei numeri sono clamorosi. “Le nazioni ricche che rappresentano solo il 14% della popolazione mondiale hanno acquistato più della metà (53%) di tutti i vaccini attesi” ha denunciato The People’s Vaccine Alliance, coalizione di organizzazioni e di attivisti che lotta per l’equità sanitaria, facendo riferimento al 96% della produzione Pfizer attesa e tutti i vaccini Moderna prodotti nel 2021. Un esempio emblematico è quello del Canada che, secondo la società di dati analitici Airfinity, avrà un numero di dosi sufficiente per vaccinare 5 volte i cittadini canadesi. Molti degli ordini sono stati passati prima ancora di aver interpellato i Paesi a basso reddito sul loro fabbisogno.

Da che dipende la disparità dei costi

Un altro aspetto al centro di polemiche riguarda il costo di acquisto da parte dei Paesi africani: il Sudafrica, nazione maggiormente colpita dal coronavirus sul continente, dovrà pagare i suoi primi vaccini sviluppati da AstraZeneca circa 2,5 volte di più rispetto a quanto speso dalle nazioni europee, ovvero 4,32 euro invece di 1,78. L’Oms ha più volte chiesto ai governi di smetterla con i negoziati bilaterali con i laboratori in quanto pratica che rischia di far salire i prezzi. Il ministero della Sanità sudafricano, alle prese con la seconda ondata della pandemia e con la variante che preoccupa su scala mondiale, ha spiegato la differenza di costo col fatto che i Paesi ad alto reddito hanno usufruito di un prezzo più basso per il vaccino in quanto hanno maggiormente investito in ricerca e sviluppato rispetto a quelli più poveri.

In Sudafrica finora si sono registrati oltre 39 mila vittime e 1,3 milione di contagiati. La situazione ricorda quella già vissuta dall’Africa negli anni ’90 con gli antiretrovirali contro l’Aids/Hiv fabbricati negli Usa: anche se il continente aveva la più alta popolazione contagiata, ci sono voluti sei anni prima che i trattamenti fossero accessibili agli africani. Il ritardo terapeutico ha provocato la morte di 12 milioni di africani a causa delle complicazioni correlate all’Hiv su un periodo di 10 anni mentre negli Usa la mortalità era crollata. 

L’appello dell’Onu

Un appello a far arrivare rapidamente i vaccini anti-Covid anche all’Africa è stato lanciato dalla direttrice di UNAids, Winnie Byanyima, che chiede all’industria farmaceutica di “non farsi spingere dal desiderio di super profitti”, assicurando che “possono ancora realizzarli anche se condividono le loro formule”. L’Oms denuncia invece una serie di meccanismi iniqui che hanno portato a questo squilibrio, con alcuni Paesi e compagnie farmaceutiche che prediligono trattative bilaterali, bypassando alcuni meccanismi esistenti per garantire un accesso equo ai vaccini e tirando su i prezzi di vendita. Le cose sono andate così: “Molti dei vaccini sono stati preordinati dai Paesi più ricchi ancora prima che esistesse un prodotto sicuro ed efficace” ha sottolineato Richard Mihigo, responsabile dell’immunizzazione e dello sviluppo dei vaccini dell’Oms Africa.

Finora gli accordi raggiunti hanno assicurato due miliardi di dosi per il gruppo di Paesi più poveri, che comprende tutta l’Africa, alla quale andranno circa 600 milioni. Secondo il suo attuale presidente, il presidente del Sud Africa Cyril Ramaphosa, l’Unione africana ha preso accordi affinche’ gli Stati membri richiedano un finanziamento di 7 miliardi di dollari da istituti di credito, che coprirebbero l’acquisto fino a 270 milioni di vaccini. Ma non è solo l’acquisto di vaccini che necessita di finanziamenti.

La catena del freddo

I paesi hanno anche dovuto potenziare la catena del freddo mentre si preparano per il loro arrivo. Questi sono particolarmente importanti per il vaccino Pfizer, che deve essere mantenuto a -70 C. L’Agenzia delle Nazioni Unite per l’infanzia, Unicef, che di solito si occupa della distribuzione di vaccini per l’infanzia, gestirà la logistica della consegna dei vaccini Covid-19 sotto la struttura di Covax.

L’agenzia si prepara a trasportare almeno il doppio della sua capacita’ abituale in quello che definisce “un’operazione logistica gigantesca e storica”. Sul terreno serve costruire una catena del freddo all’altezza della sfida, anche se i Paesi in passato colpiti da epidemie di Ebola sono già sulla buona strada, avendo a disposizione centinaia di migliaia di frigoriferi, di cui una parte funziona con pannelli solari a causa dei frequenti black-out. 

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