Segni particolari: 1,75 metri di altezza, 80 chili di peso. Oversonic Robotics, startup brianzola di robot umanoidi, sta lavorando a un nuovo automa. Da impiegare nel settore sanitario. Dopo Robee, il robot realizzato per l’industria, la società di Carate Brianza punta a entrare con le sue soluzioni in un altro comparto dove manca il personale. E dove i robot potrebbero liberare gli operatori sanitari da incombenze inutili e compiti di routine. Obiettivo dell’azienda è presentare la nuova creazione entro la fine dell’anno.
Il nuovo nato della startup brianzola è pensato per svolgere alcune attività di logistica, come la movimentazione del carrello dei medicinali, la distribuzione dei pasti o il cambio delle lenzuola, e alcune forme di assistenza ai pazienti, come l’osservazione e il monitoraggio, alcuni tipi di conversazioni o di esercizi. E poi lo scambio di informazioni con il personale sanitario, come l’aggiornamento sulle attività completate, l’interazione con gli altri macchinari, la realizzazione di report sulla situazione delle persone ricoverate (per esempio, di notte). “È una macchina che interagisce con i pazienti, non una macchina di chirurgica”, specifica Paolo Denti, amministratore delegato di Oversonic.
Il test
Un test è già in corso. Il robot dell’azienda è impiegato in un reparto Alzheimer di un centro diurno a Torino di Kcs, cooperativa di Agrate (in provincia di Monza) che gestisce residenze per anziani in 15 regioni. Uno degli impieghi è “il monitoraggio”, spiega Denti. “Il robot può garantire una copertura h24 e seguire il paziente, se questo si allontana, allertando gli infermieri ma senza intervenire”. L’altro è l’interazione. “Il robot può creare delle attività utili per mantenere un certo livello di attività mentale – aggiunge l’ad -. Le macchine non si stancano, non si stufano, possono ripetere la stessa discussione anche cento volte”. Infine c’è l’ausilio in alcuni esercizi motori combinati, per esempio aiutano i pazienti a coordinare comandi e gesti.
Il test è supervisionato da un team di Oversonic e da medici e infermieri del reparto, riguarda solo un piccolo nucleo di persone e segue il robot in attività con pazienti che hanno una maggiore autonomia (tanto che frequentano il centro di giorno). In parallelo, attraverso scenari virtuali, si cala il robot in altri contesto, come la sorveglianza notturna. Più che l’hardware, cuore del lavoro è lo sviluppo del software. E di come il robot apprende dalle esperienze che fa. Così come è avvenuto con Robee, che, dice Denti, “in qualche modo evolve ogni giorno, perché è in auto-apprendimento. In questi quattro anni abbiamo 140 applicazioni fatte, 140 cose nuove che adesso fanno parte del bagaglio di questa macchina”. del resto, questa notizia viene trasferita anche ai primi robot consegnati, aggiornandoli con i risultati conseguiti.
I prossimi passi
Lo stesso Robee è stato impiegato in ambito sanitario, alla Fondazione Santa Lucia di Roma. Ma Denti è netto: per come è strutturato, per stazza e conformazione, è più adatto a lavorare in fabbrica. Quella in fase di sviluppo, invece, avrà fattezze “più umane”, spiega il co-ideatore di Oversonic, ma niente che possa essere confuso per un essere umano. “Non vediamo il valore aggiunto in questo, onestamente – commenta -. Se un paziente sta parlando con una macchina, deve saperlo”. “Non vogliamo ridurre le persone che lavorano in ambito sanitario o togliere ore – chiosa il maanger -. Vogliamo restituire loro tempo utile, dare loro la possibilità di dedicare il tempo ad attività di valore e togliere burocrazia, ridurre lo stress e il rischio di burnout”.
Un altro fattore su cui Denti insiste è la raccolta di informazioni. “La macchina profila tutti i dialoghi che sono avvenuti col paziente, all’interno delle regole Gdpr e noi facciamo delle analisi di dati, per esempio per capire quali sono gli argomenti che mantengono una positività della relazione e quelli che purtroppo fanno scattare l’aggressività”, spiega in riferimento al test con i pazienti di Alzheimer. Se il paziente dovesse correre, spiega, “la macchina non può far altro che chiamare l’operatore, ma non può certo fermarlo. Le applicazioni sono basate su reti neurali proprietarie e se dovesse accadere un qualcosa di anomalo, di mai visto prima, la macchina è programmata per segnalare a chi di dovere e non prendere decisioni di sua iniziativa”.
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di Luca Zorloni www.wired.it 2024-09-13 04:40:00 ,