San Marino al voto per l’aborto legale: «Lottiamo per un diritto che dovrebbe essere garantito»

0


«Per le donne è difficile conquistare nuovi diritti ma il vero impegno consiste nel difendere ogni giorno le libertà che consideriamo acquisite. Non vanno mai date per scontate». A parlare è Karen Pruccoli, Presidente dell’Unione Donne Sammarinesi (UDS), associazione promotrice del referendum per la depenalizzazione dell’aborto che ci sarà il prossimo 26 settembre nella Repubblica di San Marino. Nello stato di 33 mila abitanti, tra Emilia-Romagna e Marche, l’interruzione volontaria della gravidanza (IGV) è ancora un reato punito con la reclusione sia per la donna che abortisce sia per chi l’aiuta. «Perfino in Polonia, lo stato che ha una delle leggi più restrittive d’Europa sull’interruzione di gravidanza, è prevista la depenalizzazione dell’aborto nel caso in cui la donna sia in pericolo di vita. A San Marino no. Lo stato di necessità – il fatto che per salvare la donna si possa far morire il feto – è un’attenuante al reato frutto dell’interpretazione nella prassi, ma non esplicitata dalla legge». Gli articoli 153 e 154 del codice penale sammarinese sono dedicati all’aborto: il primo stabilisce il divieto di interrompere la gravidanza senza eccezioni, il secondo chiarisce che l’aborto di un figlio illegittimo comporta pene meno severe.

La legge è vecchia, risale al 1865. Come ha potuto resistere così a lungo?
«Il ritardo pazzesco della nostra battaglia per la legalizzazione dell’aborto ha due ragioni. La prima è che noi sammarinesi siamo state impegnate in altre campagne come quella sulla cittadinanza che le donne perdevano se si sposavano con un uomo di un altro Stato. La seconda è l’indifferenza della politica che, consapevole del problema, ha sempre fatto leva sulla buona capacità di arrangiamento delle donne. Abbiamo portato avanti più tentativi per depenalizzare l’IGV ma sono sempre falliti. Nel 2016 tre Istanze d’Arengo con le quali i cittadini hanno chiesto al Consiglio Grande e Generale (il Parlamento ndr) di legiferare sulla depenalizzazione dell’aborto in caso di stupro, di pericolo di vita e di malformazioni gravi del feto, erano state approvate ma non sono mai diventate legge».

La vicinanza con l’Italia ha influito?
«Sì. Oggi le donne che vogliono abortire vanno in Italia. Spendono circa 1500 euro e conservano l’anonimato garantito dalla sanità italiana. Il benessere di cui gli abitanti di San Marino hanno sempre goduto ha contribuito a far sì che il divieto di abortire nella nostra Repubblica resistesse a lungo. La crisi economica però colpisce anche noi: ci sono ragazze, studentesse, disoccupate, molte donne che non possono permettersi il prezzo dell’interruzione di gravidanza. Cresce il numero degli aborti clandestini, delle persone che si procurano la pillola abortiva RU sul mercato nero, di coloro che portano avanti gravidanze indesiderate. Sono situazioni con cui noi dell’Unione Donne Sammarinesi siamo in contatto».

Come è nata l’UDS?
«Eravamo un gruppo di cittadini che spingevano per la legalizzazione dell’aborto. Nel 2019, quando abbiamo presentato il nostro secondo progetto di legge in merito, non avevamo ancora un’identità definita e così abbiamo pensato di far rivivere la vecchia sigla dell’Unione Donne Sammarinesi, movimento femminista degli anni Settanta e Ottanta, in accordo con le precedenti protagoniste che si sono unite a noi nella battaglia per l’aborto. Dopo tante sollecitazioni alla politica che sono rimaste inascoltate abbiamo deciso di indire un referendum. Lo scorso 15 marzo il collegio garante della costituzionalità ha dichiarato ammissibile il quesito». 

E poi?
«Subito dopo abbiamo iniziato la raccolta delle firme. Ne servivano mille per confermare il referendum, noi ne abbiamo più di tremila a riprova dell’interesse che la cittadinanza ha sull’argomento. In prima linea ci sono i giovani: conoscono il mondo, hanno vissuto fuori, si rendono conto che la legge sull’aborto che vige a San marino è insostenibile. La data prevista per il referendum è il prossimo 26 settembre. Fino a due giorni prima porteremo avanti la nostra campagna per il sì promuovendo incontri e dibattiti, facendo informazione chiara e trasparente affinché i cittadini possano votare in maniera consapevole».

Chi si oppone alla depenalizzazione dell’aborto?
«Il Comitato Uno di Noi, costituito dai pro-vita locali si batte affinché le cose restino così come sono ora. Preferiscono l’omertà e l’ipocrisia perché le donne sammarinesi abortiscono lo stesso ma lontane dai loro occhi. Anche la chiesa cattolica ha un ruolo influente nel dibattito, data l’impostazione patriarcale della religione non vogliono che le donne acquisiscano il diritto di autodeterminarsi».

Che cosa dice il quesito referendario?
«Il quesito è volutamente semplice, chiaro e in linea con la legge 194 italiana che ha legalizzato l’interruzione volontaria di gravidanza nel 1978. Chiediamo che la donna sia libera di scegliere cosa fare entro la 12° settimana e che dopo le sia garantita la possibilità di abortire per pericolo di vita o per gravi malformazioni al feto. Il referendum è di tipo propositivo quindi rimane il reato penale per i casi d’aborto non contemplati nel quesito. Subito dopo il voto, qualora vincesse il sì, il Consiglio Grande e Generale dovrà legiferare sulla depenalizzazione dell’aborto e quindi regolamentare anche tutti quegli aspetti che rendono possibile l’IGV come i consultori, l’obiezione di coscienza, etc».  

Quindi, anche nel caso in cui al referendum prevalessero i sì, il lavoro dell’UDS è tutt’altro che finito, giusto?
«Esatto. Sarà importante capire che tipo di legge proporrà il Consiglio Grande e Generale e fare attenzione che non vengano posti ostacoli che potrebbero limitare la donna nell’esercizio di quello che, come ha riconosciuto anche l’Europarlamento, è un diritto umano.



Source link
di Chiara Sgreccia
espresso.repubblica.it
2021-09-13 09:20:00 ,

Leave A Reply