Se l’intelligenza artificiale impara da noi: la mostra immersiva Aura

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di Federica Maccotta

“Nessun uomo è un’isola”, scriveva il poeta inglese John Donne. “Ma è una luce che interagisce con gli altri e intanto insegna qualcosa all’intelligenza artificiale”, sembra aggiungere la mostra immersiva Aura, che apre a Milano domani 29 ottobre e sarà visitabile alla Fabbrica del Vapore fino al 9 gennaio 2022. Wired l’ha visitata durante l’anteprima per la stampa: ecco di cosa si tratta, tra motion tracking e real time render

Anzitutto, cosa si deve aspettare chi paga 18,35 euro (ma ci sono riduzioni varie, anche per i bambini) per entrare nella Cattedrale, l’area più grande della Fabbrica del Vapore? L’idea di Aura è che ogni persona è luce. E interagisce con l’ambiente e con gli altri. In un grande spazio buio e nero un moderno sistema di proiettori ad alta luminosità e definizione e di video laser disegnano sul pavimento una sequenza di immagini, che di volta in volta ricordano le onde del mare o i pixel dello schermo. In questa tela sono immersi i visitatori: ognuno è proiettato, per così dire, sul suolo ed è rappresentato da una macchia di luce e di colore. L’aura, appunto. 

Muovendosi nello spazio, i visitatori modificano l’opera interagendo con i pattern e tra di loro. Gli aloni concentrici che si formano intorno ai piedi di ognuno incontrano quelli degli altri, mescolandosi e creando forme nuove. Il tutto scandito da una colonna sonora creata ad hoc da un musicista russo. L’idea, spiega Anderson Tegon, amministratore delegato e art director di Pepper’s Ghost e ideatore della mostra, è che se vogliamo esistere dobbiamo muoverci. Se tutti i visitatori smettono di muoversi, anche la mostra si ferma”. Un concetto in cui, ça va sans dire, riecheggiano molte riflessioni scaturite dalla pandemia. Incontro, interazione, vicinanza, spazio personale, comunità, isolamento: tutti temi che  Covid-19 ha reso ancora più tangibili. 

Anderson Tegon di Pepper’s Ghost alla mostra immersiva Aura

Aura

Accanto all’aspetto filosofico e artistico della mostra immersiva, c’è anche quello tecnico. Che Tegon riassume come un esempio di interazione tra macchina ed essere umano. “Senza uomo l’arte digitale non esiste”, spiega. Nessun robot ruberà il lavoro ai creativi, insomma. Ma in Aura l’intelligenza artificiale è decisamente presente, interagendo e imparando dai visitatori. Grazie al motion tracking, infatti, chi entra nella sala nera della mostra viene riconosciuto e tracciato, diventando parte dell’opera. Le proiezioni non sono fisse ma, grazie a un sistema di real time render si adattano in tempo reale alla situazione. 

La AI impara dai movimenti delle persone, per questo a gennaio l’esperienza sarà diversa da come è oggi”, spiega Anderson Tegon. Questa interazione è gestita dalla cabina di regia, un covo di ingegneri e computer che tracciano i movimenti delle persone. Grazie alle telecamere posizionate sul soffitto e alla scansione a raggi a infrarossi, vengono rilevati il calore e le coordinate di ogni visitatore, per essere poi trasformati in luci e colori, racconta Alexander Us, ideatore dello studio russo Sila Sveta, con cui ha collaborato Pepper’s Ghost per creare Aura



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www.wired.it
2021-10-28 14:52:23

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