She-Hulk: Attorney at Law, la metanarrazione secondo Marvel

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Il 2022 volge ormai verso la propria conclusione, e come ogni altro anno c’è da tirare le somme sul lavoro svolto e sui traguardi raggiunti, e le vittorie portate a dimora dalla Marvel in ambito televisivo… sono piuttosto scarse diciamolo.

Dopo un Moon Knight arenatosi nella peggiore delle maniere in seguito a un decollo portentoso, e una Miss Marvel mai realmente decollata, le aspettative su una serie su She-Hulk non si potevano definire certo alle stelle.

Considerando l’abitudine della Marvel di saturare i propri prodotti di comicità senza alcun controllo fino a strafare del tutto (sì, sto parlando con te Thor: Love and Thunder), la pessima gestione di qualunque cosa concernente Hulk dal 2017 in poi (sì, sto parlando con voi Thor: Ragnarok e Avengers: Infinity War), la recente tendenza di un po’ tutta Hollywood ad infarcire i film e le serie di retorica spicciola e pseudo progressista, e i primi teaser in cui l’elemento che spiccava maggiormente sul resto era la pessima qualità della CGI della protagonista (tutto in concomitanza con le recenti polemiche sulle condizioni di lavoro delle agenzie di effetti speciali), era abbastanza normale che i fan attendessero una legal comedy con protagonista una Hulk donna in grado di infrangere la quarta parete, nella stessa maniera in cui si attende una colonscopia: speri solo che non faccia troppo male.

E invece eccoci qui, a commentare She-Hulk: Attorney at Law ancora scossi (almeno chi vi scrive lo è) dalla rivelazione di come la serie, viste le premesse e gli obiettivi che si poneva, sia probabilmente il miglior prodotto Marvel per il piccolo schermo uscito quest’anno.

Perché è priva dei possibili difetti elencati sopra?

Tutto il contrario, sa perfettamente di essere imperfetta, ma non finge di essere nient’altro.

Preparatevi dunque alla nostra arringa finale su She-Hulk: Attorney at Law.

Un MCU diverso è possibile

Uno degli elementi della serie che preoccupavano maggiormente chi vi scrive, era la sua durata: ben nove episodi, ognuno della durata di circa mezz’ora. Il timore era che tale durata fosse stata ottenuta dilatando a dismisura una trama che sarebbe andata bene per un film di un’ora e mezza (cosa avvenuta per esempio con Hawkeye), ma che al tempo stesso la scarsa durata delle puntate anziché rendere tutto più gradevole avrebbe finito per risultare ancor più insoddisfacente, rendendo ogni episodio qualcosa di maledettamente simile ad un coito interrotto.

Questo perché chi vi scrive non conosceva ancora il formato delle puntate, e temeva che si sarebbe trovato davanti un prodotto dalla trama orizzontale, un unico filmone diviso in nove parti, come erano state finora tutte le serie Marvel.

Quel che ci ha invece proposto Disney+ è forse la prima vera e propria serie, intesa come sequela di episodi collegati da una trama orizzontale ma ognuno caratterizzato da una trama verticale, che la Marvel abbia mai realizzato: mentre la semplicissima trama della serie va avanti puntata dopo puntata, ogni settimana il nostro avvocato in verde si ritrova a dover sbrogliare il tipico “caso del giorno”, che puntualmente si collega al mondo dei supereroi e all’uso più o meno improprio delle loro capacità.

Il risultato di ciò è che She-Hulk rappresenta forse la miglior finestra sull’aspetto più “terreno” e “quotidiano” del MCU, il prodotto che ci mostra meglio i cambiamenti e le trasformazioni subite da un universo folle dove da un momento all’altro potrebbe aprirsi un portale su New York, o metà della gente potrebbe dissolversi per uno schiocco di dita: da supereroi di serie Z che spuntano ovunque come funghi, a gruppi di recupero per supercattivi più o meno riformati, passando per chi, semplicemente, dei superpoteri non sembra neanche sapere che farsene.

Un universo così sopra le righe, con regole tutte sue così radicate nell’immaginario collettivo, che non necessita neanche più di una vera e propria spiegazione al fatto che uomini in grado di rialzarsi come nulla fosse dopo essere precipitati da altezze vertiginose e influencer dotate di super forza, se ne vadano in giro come gente comune.

Certo è quasi superfluo dire come un prodotto simile non avrebbe mai potuto funzionare senza un protagonista che sia in grado di reggere la scena, e in questo Tatiana Maslany eccelle, proponendoci una Jennifer Walters estremamente simpatica e carismatica, con la quale entriamo fin da subito in sintonia, e che riesce nella non così scontata impresa di essere un personaggio femminile nel senso più completo del termine, andando ad approfondire il proprio peculiare punto di vista sugli argomenti più comuni e al tempo stesso più scomodi, specie per un prodotto audiovisivo pensato per le famiglie, come le difficoltà sul lavoro, l’oggettificazione e il sesso, andandosi inoltre ad intrecciare con tematiche delicate e tipiche della cultura di internet come la comunità incel, il ghosting e il revenge porn.

Il tutto condito da un’estetica e dei costumi volutamente poco credibili e sopra le righe, debitori di quella satira sul genere supereroistico che ha fatto la fortuna di prodotti come The Boys, Invincible o The Suicide Squad, un genere del quale ormai siamo talmente saturi da così tanto tempo, che fin dai suoi inizi il MCU ha cercato di stravolgerlo e decostruirlo con la sua caratteristica ironia e la profonda umanità dei suoi protagonisti, senza tuttavia staccarsene mai del tutto, e a dire il vero, neanche She-Hulk lo fa.

Ma allora cosa ne fa un prodotto diverso dagli altri? Cosa lo rende così dibattuto, e in molti casi così volutamente odiato?

Una Hulk in cerca d’autore

Molto banalmente, She-Hulk è il primo prodotto Marvel ad affrontare l’argomento in maniera diretta, a farne una parte integrante del proprio storytelling, cosa che fa della serie una vera e propria autoanalisi del MCU, delle proprie dinamiche, dei propri stilemi, ma soprattutto dei propri difetti, e non poteva esserci occasione migliore, per un tale esperimento di metacritica, dell’arrivo nel franchise della cugina dell’incredibile Hulk: anni prima che lo facesse il ben più famoso e amato Deadpool (sul quale è stato recentemente annunciato un terzo film), già il verde alter ego di Jennifer Walters aveva spiazzato il pubblico infrangendo quella quarta parete che oggi tanto ci divertiamo a citare per sembrare acculturati, e non solo per rivolgersi direttamente ai lettori, ma anche per andare a interagire direttamente con l’autore John Byrne (noto tra le altre cose per il suo lavoro sui Fantastici 4 e per il suo rilancio di Superman) per andare a influire direttamente sull’andamento del racconto.

Era dunque meravigliosamente prevedibile come il team di sviluppo della serie avrebbe potuto sfruttare il potenziale di questa tipologia di narrazione, adattandola a quegli elementi che dopo anni di MCU abbiamo imparato sia ad amare che ad odiare.

Dai recasting agli easter eggs, dalle reazioni spropositate e aggressive del fandom più tossico all’inclusività più ostentata e fastidiosa, dai dibattiti online ai personaggi tirati in ballo unicamente per preparare il terreno a prodotti futuri, passando per finali di stagione caotici e fracassoni nei quali tutte le sottotrame imbastite fino a quel momento vanno forzatamente a confluire tutte in un unico punto senza andarsi mai realmente ad amalgamare, tutto questo è oggetto della tagliente e sagace ironia di Jennifer.

Particolarmente da lodare inoltre come, nonostante la metanarrazione e il continuo stravolgimento della logica narrativa, la serie riesca comunque a rimanere fortemente radicata nel franchise e a portarne avanti la lore in maniera non indifferente: la serie infatti apre a nuovi possibili sviluppi per l’arco narrativo di Hulk, reintroduce vecchie conoscenze come Wong (Benedict Wong) o l’Abominio/ Emil Blonsky (Tim Roth), ma soprattutto segna il ritorno dell’amatissimo Daredevil di Charlie Cox, (forse) canonizzandone le avventure vissute nella fantastica serie Netflix (oggi recuperabile su Disney+).

Insomma, She-Hulk: Attorney at Law è un piccolo gioiellino di metacritica, intrattenimento e autoironia, cosa che, accompagnandosi al modo in cui gioca con il formato della web serie, e lo stesso genere “legal comedy”, ne fa il prodotto più sperimentale del MCU (superando addirittura la finora imbattuta WandaVision).

Certo, è ovvio come questo non basti per creare il prodotto perfetto, ma è ironico notare come in un periodo in cui il MCU sembra perdere sempre più colpi (i recenti problemi nella produzione di Blade e i rinvii subiti da svariati progetti ne sono la testimonianza), a risollevare l’hype nei confronti del franchise sia quello che ne mette maggiormente in luce difetti e problematiche, una sorta di simpatico mea culpa, prima di un ritorno agli antichi fasti che, come speriamo noi spettatori della prima ora, possa arrivare il prima possibile.



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di Ivan Guidi
www.2duerighe.com
2022-10-14 07:22:02 ,

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