Il numero messo nero su bianco è duecento. Tante solo le startup che Cdp Venture Capital sgr, il Fondo nazionale innovazione sotto l’ombrello della cassaforte del risparmio postale, Cassa depositi e prestiti (Cdp), punta a imbarcare ogni anno nella sua rete di acceleratori. “Sono 200 le startup accelerate finora delle tremila che si sono candidate – enumera Francesca Bria, presidente del Fondo innovazione -. Vogliamo arrivare a duecento ogni anno”. Attraverso un programma di acceleratori che dagli attuali 17 (un diciottesimo è arrivo) vuole raggiungere entro fine anno quota venti. È questo uno dei traguardi che l’attuale esecutivo del Fondo nazionale innovazione può intestarsi. La presidente Bria, l’amministratore delegato Enrico Resmini e i sette nomi del consiglio d’amministrazione scadono a bilancio 2022 chiuso. Questione di mesi. Poi il governo dovrà decidere il da farsi.
Il 2023, insomma, sarà un anno di passaggio per il Fondo nazionale innovazione. Perché oltre a capire come saranno organizzati i piani alti, occorre mettere nero su bianco il nuovo piano industriale triennale, atteso entro fine anno. A margine di un evento a Milano per presentare i risultati delle rete di acceleratori, Bria traccia le quattro direttrici della futura missione del fondo: spingere sull’accelerazione; sostenere il trasferimento tecnologico; rafforzare gli investimenti indiretti, specie con fondi esteri e, infine, consolidare quelli diretti con un occhio alle tecnologie pesanti, come spazio o biotech. Anche per il fondo, insomma, si deve passare dalla fase di startup a quella di scaleup. D’altronde, come chiosa Resmini, la sgr vedrà raddoppiare i fondi in gestione: “Arriveremo a cinque miliardi”.
I numeri
Presentato dall’allora ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio nella primavera del 2019, il Fondo nazionale innovazione decolla a giugno 2020. Oggi Cdp Venture Capital ha due miliardi di asset in gestione, ha mobilitato 135 milioni (di cui 85 deliberati e 50 di co-investimenti) e aggregato 10 fondi di investimento, tra diretti e indiretti. L’ultimo è stato varato a novembre per coprire l’ultima fase di maturità delle startup: il fondo Large ventures ha già 150 milioni in cassa, 700 come obiettivo di raccolta e ambiti come il biotech e il deeptech nel mirino.
Uno dei tasselli del piano è la rete degli acceleratori. Conta 17 programmi avviati, uno deliberato e 180 partner: dallo sport alla cybersecurity, dall’ospitalità ai motori. Ultimo avviato, a inizio marzo, Foodseed, sede a Verona, dedicato al segmento dell’agroalimentare. “Selezioniamo le startup in base a tecnologie strategiche e alle esigenze del territorio“, aggiunge Bria. Secondo Marco Gay, presidente esecutivo dell’acceleratore Digital Magics, coinvolto in progetti legati a fintech e insurtech, “oggi si è creato finalmente un ecosistema. Siamo dove altri paesi europei erano 4-5 anni fa, ma quello è il momento in cui la curva si impenna. Dopo il set up generale, entriamo nella fase di accelerazione”. Digital Magics ha a bordo una quarantina di startup del progetto di Cdp. “Oggi abbiamo una media del 30% di candidature dall’estero – prosegue -. E siamo a una media di 750mila euro per un investimento seed, vicini alla media europea che è di un milione. Solo quattro anni fa eravamo a 250mila euro”.
Borsa ed Europa
Ma se il Fondo nazionale innovazione ha centrato i suoi obiettivi, deve funzionare anche il resto. È il ministro dell’Economia e delle finanze, Giancarlo Giorgetti, ad anticipare un piano del governo per semplificare le quotazioni in Borsa delle imprese: “Vogliamo agire per indurre una platea più ampia di imprese di medie dimensioni ad accedere ai mercati regolamentati e allo stesso tempo attrarre nuovi investitori”, attraverso una “semplificazione del settore con procedure più snelle e una riduzione degli oneri delle aziende che intendono quotarsi”.
Dall’altro lato ci sono gli investimenti dell’Europa. A febbraio Bruxelles ha presentato il suo fondo per difendere gli unicorni, ossia le startup che hanno raggiunto una valutazione di 1 miliardo di euro, dalle mire investitori stranieri, Stati Uniti e Cina in primis. Il programma, detto Campioni della tecnologia europea (Etci), ha una dotazione iniziale di 3,75 miliardi di euro, che verrà aumentato nel corso degli anni. A sostenerlo la Banca europea degli investimenti (Bei) e un pool di alcuni stati dell’Unione. Ci hanno messo 1 miliardo di euro a testa Spagna, Francia e Germania, 150 milioni l’Italia e 100 milioni il Belgio. L’Europa beneficerà anche di parte del miliardo di euro che la Nato vuole mobilitare in ambito deep tech, con nodi anche in Italia.
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di Luca Zorloni www.wired.it 2023-03-07 08:30:00 ,