Lo scorso anno, stando ai dati registrati dai sismografi della Rete sismica nazionale e divulgati dall’Ingv, in Italia si sono verificati circa 16mila eventi di terremoto, il che corrisponde a una media di 44 al giorno, quasi un terremoto ogni mezz’ora. Fortunatamente, solo una piccola parte di questi eventi è stata abbastanza forte da essere avvertita; tuttavia, sappiamo bene che il nostro paese è, in media, ad alto rischio sismico. In media, per l’appunto, vuol dire che ci sono zone in cui il rischio sismico è molto elevato (per esempio l’Italia centrale a ridosso degli Appennini) e zone in cui il rischio sismico è più basso (per esempio Sardegna, Trentino-Alto Adige, Valle d’Aosta). Ed è ovvio che, per definire le norme di edilizia antisismica, istruire la gente su come comportarsi nel caso di terremoti, predisporre un sistema di allerta (e molto altro) è necessario quantificare in modo più preciso possibile queste differenze. Gli scienziati dell’Ingv lo sanno molto bene, ed è per questo che hanno messo a punto da tempo la cosiddetta mappa di pericolosità sismica del territorio nazionale – come suggerisce il nome, si tratta di una cartina i cui colori esprimono l’accelerazione massima del suolo (in termini probabilistici) che ci si aspetta di osservare in una certa area nei prossimi 50 anni.
Una questione di tempi
C’è, però, un problema. L’ultima versione della mappa di pericolosità sismica (la MPS04) è stata approvata nel 2004, cioè praticamente vent’anni fa. Due decenni in cui i modelli sismologici si sono evoluti e in cui il nostro paese è stato colpito da diversi terremoti: per questo, è necessario e auspicabile un aggiornamento della mappa. E qui le cose si fanno complicate, come ha ricostruito Chiara Sabelli in una lunga inchiesta pubblicata su Nature Italy (qui e qui): nel 2015 l’Ingv ha affidato a un team coordinato da Carlo Meletti e Werner Marzocchi (entrambi ricercatori interni all’istituto) lo sviluppo di una mappa aggiornata. Per farlo, il gruppo ha adottato un approccio statistico-probabilistico, mettendo insieme undici diversi modelli di pericolosità sismica del suolo e assegnando a ciascuno un certo “peso” per poi combinarli in un’unica mappa, presentata all’inizio del 2019, la cosiddetta MPS19, che aveva alcune differenze sostanziali rispetto alla precedente: “Nell’Italia settentrionale”, aveva spiegato Marzocchi sempre a Nature Italy, “i livelli di pericolosità sismica previsti da MPS19 sono più alti di quelli di MPS04, perché il nuovo catalogo contiene alcuni terremoti intensi nella Pianura Padana che non erano presenti nel 2004. Mentre nell’Italia meridionale, soprattutto nella costa tirrenica della Calabria e nella Sicilia occidentale, i livelli di pericolosità sono più bassi”.
La mappa che c’è, ma non c’è
Quindi? A maggio del 2019 la Protezione Civile ha approvato la mappa. Ma pochi mesi dopo gli esperti della Commissione Grandi Rischi hanno fermato tutto, chiedendo di eseguire nuovi test sul modello utilizzato; dopodiché, a settembre 2020, il modello è stato dichiarato “non maturo per le possibili utilizzazioni”. Meletti, Marzocchi e colleghi si sono rimessi al lavoro, e a dicembre 2021 hanno chiuso una nuova versione della mappa (MPS19.s), finalmente approvata a febbraio 2022 dalla Protezione Civile. Ma la storia non è finita, perché questa mappa sembra scontentare tutti: in primis gli stessi Meletti e Marzocchi, che le preferivano la versione originale; e poi – e questa è la notizia più recente – anche i revisori interni dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. A maggio scorso, infatti, Nature Italy ha confermato che “l’Ingv ha completato la valutazione interna della mappa, con esito negativo. La nuova mappa è stata cioè bocciata dall’istituto cui appartengono gli scienziati che alla mappa hanno lavorato per oltre sette anni”. La situazione, insomma, si è fatta ancora più complessa: la Commissione Grandi Rischi ha approvato la mappa, e “in linea di principio” potrebbe comunque decidere di utilizzarla, ma l’Ingv, l’ente cui sono affiliati gli autori della mappa stessa, l’ha bocciata.
Il presidente dell’Ingv Carlo Doglioni, che abbiamo raggiunto e di cui siamo in attesa di un commento, ha detto che sta lavorando, insieme a un gruppo di ricercatori dell’Ingv e senza alcun finanziamento esterno, a una mappa ancora diversa, basata su un approccio differente. Staremo a vedere.
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di Sandro Iannaccone www.wired.it 2023-07-09 05:00:00 ,