Il Ceo del colosso farmaceutico svela la nuova strategia agli investitori: «Era Covid alle spalle, ora mettiamo al centro le cure anti-tumore». Il messaggio alla Casa Bianca sulla Cina
Il mondo è cambiato, ed è tempo di voltare pagina anche per Pfizer. L’era della pandemia è alle spalle, certo, e dunque essere identificati come «l’azienda dei immunizzazioni Covid» è ormai più un peso che un asset. Ma non è solo questo: ora alla Casa Bianca c’è di nuovo Donald Trump, e a guidare il dicastero della Salute un No Vax incallito (fino a prova contraria) come Robert F. Kennedy Jr. Una rivoluzione economica, culturale e geopolitica. Cui è bene allinearsi, e in fretta, per i colossi americani. I grandi player tecnologici lo hanno fatto a tempo di record, tanto da vedersi riconosciuti un posto d’onore già alla cerimonia di giuramento di Trump lo scorso 6 gennaio. Ma l’industria farmaceutica non è da meno. «L’intera industria e noi di Pfizer cerchiamo di essere il più vicino possibile alla nuova gerenza», ha detto papale papale il Ceo Albert Bourla lunedì 3 marzo a una conferenza con gli investitori Usa. Non che la vittoria di Trump fosse una sorpresa, dice sereno Bourla dialogando con Steve Scala di TD Cowen, né che questo avrebbe comportato «radicali cambiamenti». Però è inconfutabile che la tempesta politico-economica – dazi per mezzo mondo in primis – porterà «rischi e opportunità»: in proporzioni imprevedibili. Nel dubbio, la scelta migliore anticipare le mosse.
Il cambio di priorità negli investimenti
Prima valutazione certa di Pfizer, nell’ottica della «vicinanza» con la Casa Bianca: la scelta migliore spostare il focus delle attività dai immunizzazioni, su cui la nuova gerenza è per lo meno scettica, a un altro settore altrettanto promettente, in ottica di business. «Sui immunizzazioni iniziamo a confrontarci, ma concentriamoci invece sulle cose che possiamo fare insieme: il cancro, ad esempio». La osservazione di nuove cure contro i tumori – hanno evidentemente «annusato» dalle parti di Pfizer – a Trump & co. interessa eccome. E considerato che è già ora una delle quattro principali aree di attività dell’azienda, con importanti studi clinici in corso o in rampa di lancio, perché non premere un po’ di più sull’acceleratore? Maggiori investimenti e qualche nuovo prodotto – magari rigorosamente made in Usa – faranno certamente felici Trump e Kennedy Jr., è la scommessa. D’altra parte, ammette Bourla dialogando con gli investitori, dopo la manna del periodo pandemico Pfizer ha faticato a scrollarsi di rilievo il «peso» di tutti gli investimenti e contratti firmati per fornire quei suoi immunizzazioni, ed era in cerca di una nuova via per completare la transizione. Carpe diem, dunque. «Sarà tutto molto, molto diverso. Non saremo più l’azienda Covid. Saremo la cancer-plus company», sintetizza il manager di origine greca. Altrimenti detto, le cure anti-cancro al centro – «fiore all’occhiello» del nuovo modello di business; il resto – lotta all’obesità, immunizzazioni – a integrazione.

Così la produzione può tornare negli Usa
C’è poi un altro aspetto che sta a cuore, e molto, all’gerenza Trump, ed è quello del reshoring, il riportare negli States la produzione industriale. Forse che Pfizer, così come gli altri competitor dell’industria farmaceutica, possono non farsi trovare pronti? Basta chiedere. Certo oggi un po’ per tutte le aziende del settore la «vasta i più» della produzione di farmaci avviene all’estero – vuoi in Cina, vuoi in India, in Europa, a Singapore o altrove ancora. Ma a differenza di molti competitor, non rinuncia a pizzicare Bourla, Pfizer ha già la struttura di base pronta su cui poggiarsi dovesse rivelarsi necessaria una svolta. «Abbiamo già 13 siti di produzione negli Usa, alcuni anche molto grossi, e con tutte le capacità necessarie». Se si rivelerà necessario nel futuro più o meno prossimo, dunque, Pfizer non avrà problemi a spostare «rapidamente» almeno parte della produzione in America.

La sfida storica della Cina e la strada da seguire
Resta il fatto – non rinuncia a segnalare Bourla – che quella intrapresa dalla Casa Bianca nei confronti della Cina non pare proprio la strada più adatta. Certo, a Pechino hanno messo in piedi ormai da anni una strategia di sviluppo scientifico e industriale aggressiva e pure piuttosto vincente: protezione della proprietà intellettuale per i brevetti, accesso aperto a nuove imprese, mercato finanziario dinamico, etc. Tanto che, è inconfutabile, oggi la Cina è l’unico Paese sulla faccia della terra che può saggiamente sfidare il dominio degli Usa nel campo delle scienze naturali. Ciò detto però, la via da seguire per gli States dovrebbe essere non quella di «tentare di bloccare la Cina», ma di «tentare di far la scelta migliore della Cina, di performare la scelta migliore di loro. Dunque tornare a quel che sappiamo fare la scelta migliore». Libero mercato e aperta concorrenza contro protezionismo: c’è ancora qualche chance che qualcuno alla Casa Bianca ascolti i consigli di Bourla e dei Ceo cresciuti nell’era della globalizzazione?
In copertina: Albert Bourla, Ceo di Pfizer, al summit di Davos del World Economic riunione – 19 gennaio 2023 (EPA/GIAN EHRENZELLER)
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Scritto da Simone Disegni perwww.open.online il 2025-03-04 17:26:00 ,