Il Guardian, in un’interessantissima analisi sul rapporto tra proliferazione di eventi sportivi e reale interesse da parte del pubblico, la definisce “oversaturation”. Potremmo dire sovrasaturazione: qualcosa che eccede addirittura la soluzione satura, di per sé già non più in grado di ricevere e diluire altro materiale. Qui siamo un passo oltre, ovvero alla saturazione elevata al quadrato: l’eccesso che moltiplica sé stesso.
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Il quotidiano britannico si è chiesto: più grande è sempre meglio? E ha girato la domanda a un gruppo di esperti di televisione, marketing, ovviamente sport e organizzazione di eventi. La risposta, abbastanza sorprendente, è no. Moltiplicare a dismisura partite, tornei e campionati (nazionali, europei, mondiali) in teoria produce un aumento del giro d’affari, ma anche della stanchezza del pubblico. Gli ascolti televisivi degli ultimi Mondiali in Qatar, complici la stagione inusuale (autunno, quasi inverno) e gli orari delle partite, hanno fatto registrare ascolti televisivi inferiori alle attese. Ma l’edizione 2022 ha anche stabilito il record di profitti per la Fifa: 6 miliardi di dollari.
Più eventi, più abitudine, meno attenzione da parte di chi guarda. Eppure, lo sport continua a essere una macchina infallibile di contatti e denari: nello scorso anno, 94 dei migliori 100 ascolti televisivi negli Stati Uniti hanno riguardato manifestazioni sportive. E in Gran Bretagna, la sfida mondiale (di calcio) tra Inghilterra e Francia è stata vista in tivù da 16,1 milioni di persone, più di quelle che hanno seguito i funerali della regina Elisabetta II. Logico, dunque, che la Fifa abbia deciso di aumentare il numero delle squadre partecipanti alla prossima Coppa del mondo in Usa, Canada e Messico (il gigantismo è anche geografico): da 32 a 48, mentre le partite in programma passeranno da 64 a 104. Con quali ascolti, è tutto da verificare.
Però, attenzione: il numero dei telespettatori, dice il Guardian, non diminuisce quando il divario tra gli atleti è molto ampio. Come se la gente non fosse attratta dall’equilibrio del risultato, ma dal numero di gol da vedere e di prodezze da applaudire. In questo tempo digitale, dominato dai social e da piattaforme che trasmettono e replicano ogni cosa senza sosta, il grande nemico è la noia. Non la reggono specialmente i più giovani, abituati a saltare da un contenuto online all’altro. L’attenzione breve pretende oggetti altrettanto brevi: sintesi, gol, azioni spettacolari. Novanta minuti sono diventati un tempo infinito, e infatti il numero di ragazzi tra 14 e 22 anni che dichiarano di seguire per intero le partite di football è in nettissimo calo.
La “sovrasaturazione” è qualcosa di molto ambiguo: da un lato promette, e spesso mantiene, un giro d’affari extra, dall’altro sfinisce quello che gli inglesi chiamano “il pubblico prigioniero”: nella gabbia di calendari e palinsesti, l’unica vera libertà sembra quella di cambiare canale, magari cercando sport emergenti (negli ascolti) come la boxe, e in generale le discipline di combattimento, oltre ai motori. Gli ascolti delle Olimpiadi reggono ancora bene, ma soltanto perché l’evento avviene ogni quattro anni e non ha cambiato troppo il suo formato. Tuttavia, il progressivo inserimento di nuove discipline e l’eventuale allungamento del programma, oltre le tradizionali due settimane, potrebbero gonfiare anche i Giochi. Ma a parte poche eccezioni, come le gare di più lunga durata e il torneo di calcio, quasi tutti gli eventi delle finali olimpiche sono abbastanza brevi e veloci. Cioè il segreto per non annoiarsi, e per non “sovrasaturarsi”. Perché anche la torta più buona del mondo, dopo la seconda fetta, nausea.