Nel gennaio 2021, alla matematica Hannah Fry è stato diagnosticato un tumore al collo dell’utero. Dopo averle comunicato la diagnosi, l’oncologo le ha detto che non era ancora chiaro se il cancro fosse arrivato o meno al terzo stadio, né se si fosse diffuso ai linfonodi. Nello scenario migliore, le probabilità di sopravvivenza della paziente erano del 90 %. Nel caso in cui il tumore si fosse invece diffuso, le probabilità scendevano a circa il 60 %: “Sembrava che avesse raggiunto quattro linfonodi, ma non era del tutto certo – ricorda Fry –. I chirurghi hanno deciso di optare per un intervento molto radicale e aggressivo e in pratica mi hanno asportato circa un terzo dell’addome”. Oltre alla comprensibile preoccupazione, la matematica ha dovuto anche calcolare il rischio che comporta la decisione di intraprendere un trattamento oncologico specifico: “Non si tratta di cure piacevoli: hanno ripercussioni che cambiano la vita. Con il cancro, spesso si combatte contro un nemico invisibile che può esserci o non esserci. E anche se c’è, non è detto che rappresenti una minaccia reale”.
Le parole di Fry sono supportate da prove. Negli anni Settanta, per esempio, un gruppo di patologi danesi condusse un’autopsia su settantasette cadaveri di donne decedute da poco. Erano morte per cause diverse, tra cui infarti o incidenti d’auto, e non avevano mai ricevuto una diagnosi di cancro. I ricercatori eseguirono mastectomie bilaterali in cerca di forme tumorali, trovando tessuti anormali – cancerosi o precancerosi – in circa il 25 % dei corpi. “È un risultato sorprendente – sostiene Fry –. Questo esperimento è stato ripetuto più volte per tutti i diversi tipi di cancro, come quello alla prostata e alla tiroide. Le stime più accurate di cui disponiamo indicano che tra il 7 e il 9 % di noi, in qualsiasi momento, ha un tumore nel corpo di cui non è a conoscenza“.
Si tratta di una statistica apparentemente terrificante, che Fry però contestualizza con un altro dato: la cifra supera di circa dieci volte il numero di persone a cui viene effettivamente diagnosticato un tumore. “Ciò significa che, nella maggior parte dei casi, il nostro corpo è abbastanza bravo a individuare le cellule tumorali, ucciderle e rimuoverle – spiega Fry –. Anche quando fallisce, molto spesso la malattia procede così lentamente che si muore per qualcos’altro“. In un altro studio, dei ricercatori hanno esaminato circa 1600 uomini a cui era stato diagnosticato un tumore alla prostata. I soggetti sono stati suddivisi in tre gruppi: uno è stato sottoposto a chirurgia, un altro a radioterapia e un terzo non ha ricevuto alcun intervento medico, ma è stato monitorato regolarmente. “Alla fine di questo studio, dopo un certo numero di anni, non c’era alcuna differenza nei tassi di sopravvivenza complessiva”, rivela la matematica . Un terzo studio condotto in Corea del Sud ha esaminato l’effetto di un programma di screening nazionale del tumore alla tiroide sui tassi di mortalità. La conclusione è stata la stessa: anche se il numero di diagnosi e trattamenti è aumentato, il tasso di mortalità è rimasto invariato.
Fry ricorda quando, durante le terapie, visitò una clinica oncologica. Nella struttura incontrò una donna di circa sessant’anni a cui era stato appena rimosso un nodulo dal seno. L’oncologo le illustrò le opzioni a sua disposizione, spiegandole che anche rimuovendo tutto il tessuto canceroso individuato, c’era sempre la possibilità di una recidiva che si sarebbe potuta rivelare incurabile. Il medico le aveva quindi fornito due opzioni: continuare la chemioterapia o interrompere il trattamento. Le sue probabilità di sopravvivenza erano già molto buone (84 %), e statisticamente il trattamento le avrebbe aumentate solo del 4 %. “Era ovviamente molto spaventata – ricorda Fry –. Mi disse: ‘Ok, ci ho pensato, farò la chemio, perché altrimenti morirò’“. La scienziata era sbalordita: valeva davvero la pena sottoporsi a un trattamento medico così pesante per un miglioramento così marginale del tasso di sopravvivenza? Fry capisce che, di fronte a una diagnosi terrificante come quella di un tumore, sia spesso difficile prendere una decisione razionale basata su considerazioni statistiche. Anche lei ha dovuto affrontare lo stesso processo decisionale. E sebbene si consideri una delle fortunate – è guarita dalla malattia da quasi due anni – a causa del trattamento ora soffre di linfedema, una condizione cronica che causa un rigonfiamento negli arti inferiori. “Non si tratta di avere rimpianti, ma sento che il calcolo sia stato fatto senza che avessi la possibilità di tenere conto di ciò a cui tenevo davvero”.
Leggi tutto su www.wired.it
di João Medeiros www.wired.it 2023-06-12 04:50:00 ,