L’ex premier francese: «La guerra in Ucraina ha cambiato il mondo. Fino a che punto possiamo accettare ciò che succede? Il rischio è che la nostra disfatta morale sia terribile»
«Stiamo arrivando alla questione fondamentale: fino a che punto possiamo arrivare, noi occidentali, membri dell’Unione Europea o dell’Alleanza atlantica, nell’accettare quello che sta succedendo in Ucraina?». Manuel Valls, 59 anni, ex premier della Francia, al governo quando il siriano Bashar al-Assad con l’appoggio di Vladimir Putin usava le armi chimiche sui suoi connazionali e quando lo stesso Putin invadeva e annetteva la Crimea, dice che «ormai non possiamo più indietreggiare, non possiamo fare finta che la guerra in Ucraina non stia cambiando il mondo».
Che cosa pensa del discorso di Zelensky al Parlamento francese? E delle sue critiche alle aziende francesi come Renault che ancora non hanno lasciato la Russia?
«Il presidente ucraino ha il diritto di chiedere aiuti e sanzioni sempre più dure, di reclamare ai Paesi europei che si riuniscono domani di spingere le aziende a fare le scelte che si impongono. Ma sullo sfondo c’è una questione più ampia, che ormai siamo tutti chiamati ad affrontare».
Cioè che cosa fare, dopo le sanzioni alla Russia e gli aiuti all’Ucraina, se i negoziati non dovessero avere successo?
«È così, dobbiamo prepararci a tutte le eventualità. Potremmo accettare la distruzione totale dell’Ucraina? Di Mariupol, di Odessa, di Kiev? potremmo accettare l’uso di armi chimiche, dopo che la Russia ha già usato i missili ipersonici?».
Finora l’Occidente non è intervenuto direttamente per rispettare le regole della deterrenza nucleare, e non scatenare una guerra atomica.
«Certamente, la ragione è perfettamente comprensibile da un punto di vista giuridico e politico, l’Ucraina non fa parte della Nato. Ed è giusto dare tutte le possibilità ai negoziati, fino all’ultimo, nella speranza che i massacri si fermino. Ma se questo non succede? Che cosa facciamo se la distruzione prosegue? Il rischio è che la nostra disfatta morale sia terribile».
Che cosa suggerisce di fare?
«Per adesso mi limito a porre la questione, i rischi mi sono chiarissimi. Ma il punto ormai è questo: la situazione attuale, dopo un mese di guerra, è tollerabile a medio-lungo termine, da un punto di vista morale e anche strategico? Credo che i responsabili Ue, Nato e G7 in questi giorni si stiano chiedendo proprio questo».
Dalla Polonia per esempio arriva l’idea di forze di interposizione sul suolo ucraino per garantire i corridoi umanitari.
«Certo, le linee di discussione si stanno muovendo, ecco perché dico che ci avviciniamo a un momento in cui dovremo prendere decisioni difficili. Vogliamo evitare la guerra, questo è certo e giustissimo. Ciò nonostante la guerra c’è già, e bisogna prepararsi a vincerla. Non siamo più in una situazione classica, la dottrina della Difesa è completamente cambiata in pochi giorni. L’approfondimento delle sanzioni, i legami delle imprese con la Russia, le forniture di gas e petrolio sono questioni fondamentali che abbiamo trattato finora. Ma stiamo arrivando al momento in cui dovremo rispondere alla domanda di fondo».
Il presidente americano Biden ha chiarito da subito che non avrebbe inviato truppe in Ucraina, lo ha ripetuto più volte e ha escluso esplicitamente ogni intervento diretto. Non è stato forse troppo solerte nel farlo? Non sarebbe stato meglio lasciare Putin nell’incertezza, invece di dargli il via libera, senza porre alla Russia alcuna linea rossa da non oltrepassare?
«Quanto alla linea rossa, abbiamo un precedente pesante. Nel 2013 avevamo posto a Bashar la linea rossa dell’uso delle armi chimiche in Siria. Biden era allora il vice di Obama. Bashar usò comunque le armi chimiche sulla sua gente e i nostri Rafale decollarono per dare la risposta annunciata. Gli obiettivi erano già stati scelti assieme ai nostri alleati americani. Ero al governo, la Francia era determinata. Fu Obama a tirarsi indietro, noi fummo costretti a richiamare i caccia e a farli tornare alle basi. Quel segnale di debolezza dell’America venne immediatamente sfruttato da Vladimir Putin in Siria e qualche mese dopo in Crimea. Putin sapeva di avere mano libera, sapeva che gli Stati Uniti non sarebbero intervenuti».
La situazione ora è diversa?
«Mi sembra che le cose siano cambiate, soprattutto per noi europei. Non possiamo tirarci indietro di fronte a una battaglia che è di civiltà, e non da oggi ma almeno dal discorso alla conferenza di Monaco del 2007, quando Putin espose la sua teoria sulle democrazie occidentali deboli e dominate dall’ideologia Lgbt. I suoi discorsi sono pieni di violenza e, ormai lo sappiamo, vanno presi alla lettera. Dobbiamo preparare le nostre opinioni pubbliche».
Che cosa dovremmo aspettarci?
«Il momento di svolta potrebbe arrivare nei prossimi giorni. Vediamo come vanno questi vertici internazionali. Vediamo se gli sforzi diplomatici ottengono lo stop della guerra, come speriamo tutti. Se invece la guerra continua, nostro malgrado, dobbiamo essere pronti».
Che cosa pensa di chi in Occidente sposa le tesi del Cremlino?
«In realtà la maggioranza degli europei sta dimostrando uno slancio straordinario in favore dell’Ucraina. Poi ci sono quelli che si definiscono pacifisti, certo. Mi ricordano una frase del presidente François Mitterrand, pronunciata davanti al Bundestag nel 1983: “Anche io sono contrario ai missili. Ma noto che i pacifisti sono all’Ovest e i missili sono all’Est”».
23 marzo 2022 (modifica il 23 marzo 2022 | 21:53)
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Stefano Montefiori, corrispondente da Parigi , 2022-03-23 22:17:59
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