“Un viaggio all’inferno ma ne salvammo migliaia”

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Ha scavato tra le macerie, salvato centinaia di persone, perso per sempre 343 fratelli del Fire Department di New York City. Di tanti altri, uomini e donne, ha recuperato i resti. E i segni se li porta dentro da allora. Incancellabili. Con una consapevolezza: “E’ stata la più grande opera di soccorso della storia: circa diecimila persone portate in salvo…”. All’Adnkronos Angelo Cocciolillo, ‘fireman’ di 60 anni, figlio di emigrati molisani, racconta il suo viaggio nell’inferno di una Manhattan sconvolta dagli attentati dell’11 settembre 2001. (FOTO)

“Quel martedì ero fuori servizio. Mi chiamano: ‘Hai visto? Al World Trade Center… Un incidente aereo su una delle torri’. Sono andato in un coffee shop. Alla televisione le immagini dell’aereo che colpisce la seconda torre. E capisco che non è un incidente. Corro alla stazione, prendiamo un mezzo di emergenza, una specie di tank che va a 15 miglia orarie… Era lento, e siamo arrivati lì appena cinque minuti dopo il collasso della seconda torre”. Ecco perché è vivo e lo può raccontare, Angelo, pensionato del Bronx, ma per sempre uno dei vigili-eroi entrati in azione dopo l’attacco all’America portato da al Qaeda 20 anni fa.

“E poi: l’edificio 7 in fiamme dal ventesimo al cinquantesimo piano. Poi il crollo alle 5.15 pm. Siamo arrivati e non trovavamo persone. Credo si siano…liquefatte per il calore. Perché credi che le persone si sono gettate dalle torri? Per non finire incenerite. Immagina…”.

L’inverno successivo è stato mite, nel ricordo che riaffiora, e la rimozione delle macerie fu abbastanza spedita. Però: “Migliaia di persone sono morte, dopo, a causa delle malattie contratte quel giorno. Quando non scavavo a Ground zero, andavo ai funerali di colleghi: ne abbiamo persi 343 quel giorno”. Quel numero, Angelo, ce l’ha impresso sull’anello che porta sempre al dito.

“Dopo 20 anni, mi pare ieri. Cosa provo? Penso, sì, che nel mondo c’è un sacco di gente cattiva. Penso che il mio Paese stava dormendo a occhi aperti: questi tizi prendevano lezioni di volo. Ma solo di decollo. L’atterraggio non era previsto. E nessuno ha detto ‘aspetta un attimo…’, nessuno si è fatto una domanda. Quel giorno dalla Virginia arrivò l’Air Force che per poco non li intercettò, ma i terroristi avevano già usato il fiume Hudson come ‘mappa’. Per questi selvaggi è stato fottutamente facile. Ora penso alle persone che conoscevo e non ci sono più: non hanno visto i loro figli sposarsi, o laurearsi… Io sono stato fortunato: Dio mi ha risparmiato e posso solo sperare che nessuno viva questa esperienza di nuovo”.

L’amarezza, per Angelo, fireman della stazione Engine 96 -Ladder 54 del Bronx, è un altro morbo senza termine, un filo spinato nell’anima, che scortica quel che resta del sogno americano: “Questo Paese è cambiato: il 12 settembre eravamo tutti americani, oltre ogni differenza di età e convinzione politica, tutti aiutavano gli altri. E’ durato poco. Oggi, almeno negli Stati Uniti, tra politica e ‘bullshit’ di ogni genere, è tutto andato: l’amore e il rispetto non ci sono. L’unica cosa buona uscita dall’11 settembre, è stato il 12. Il giorno dopo, quando tutti si aiutavano e c’era orgoglio, amore, onore. Non so nel resto del mondo. Ma qui, sembrano perduti”. (di Cristiano Fantauzzi)





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2021-09-10 16:43:01 ,

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