Venezia, le madri di Almodovar e i fantasmi della Guerra civile – Scritti al buio – Blog

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L’avevamo detto che quest’anno a Venezia si scava. E il film di Almodovar con cui si è inaugurata la 78ma Mostra lo conferma in modo addirittura clamoroso. Malgrado il titolo “Madres paralelas”, la nuova impresa del regista di “Volver” e “Tutto su mia madre” non riguarda tanto il futuro quanto il passato. Non la coscienza del presente e delle sue contraddizioni, quanto la memoria e le sue rimozioni. Tanto che fin dall’inizio, nella vicenda di queste due donne così diverse per storia ed età che si trovano a partorire lo stesso giorno (Penelope Cruz e la giovanissima Milena Smit), sullo sfondo ci sono le ferite mai sanate della guerra civile, rappresentate nientemeno che da una fossa comune. La fossa in cui Janis, “come Janis Joplin” (Penelope Cruz), fotografa di moda e madre single, spera di trovare i resti del bisnonno e di altri abitanti del paesino da cui viene la sua famiglia, teatro di una strage orrenda compiuta dai falangisti all’inizio della guerra civile.

Anche se Almodovar scopre le carte molto lentamente e con un passo accorto, quasi sommesso, lontano dallo stile fiammeggiante per cui è famoso. Questione di rispetto, questione di età. Anche Pedro invecchia, evidentemente, e sente il bisogno di fare i conti col passato. Anche il nome per eccellenza della “movida” anni 80 sente che il suo paese non andrà mai avanti veramente se non si guarda dentro fino in fondo. E non trova la forza, per esempio, di dare un nome a quei 100.000 “desaparecidos” della guerra di Spagna tuttora senza identità.

Ed ecco il tortuoso cammino di Janis e Ana, madri per caso, per caso destinate a partorire insieme, dunque a intrecciare vite ed affetti. Nonché a confrontare due visioni dell’esistenza assai diverse, perché per vie tortuose e stavolta molto almodovariane le due bambine che nascono obbligheranno entrambe a riconsiderare il proprio modo di stare al mondo. E un sentimento del presente dietro cui occhieggia, innominato, il digital divide. Con Ana, ancora minorenne al momento del parto, che per “vivere finalmente la propria vita” rimuove senza nemmeno accorgersene il passato, personale e collettivo. Mentre alla più matura Janis e al padre della bambina, che neanche a farlo apposta è un antropologo forense, tocca il compito di aprire gli occhi, ad Ana e si suppone a larga parte del pubblico giovanile di oggi, sull’importanza di guardare in faccia le epoche trascorse. Costi quel che costi (con una stoccata per i politici come Mariano Rajoy che si vantano di non destinare “nemmeno un euro alla memoria”). Anche se è proprio interrogando la propria storia personale che Ana riuscirà a costruire un nuovo sguardo sul passato.

Il tutto con sporadici ed emozionanti inserti di vecchie foto anni 30 che hanno l’aria di essere molto vicine alle memorie personali del grande regista. Ma senza ritrovare se non a sprazzi lo slancio, l’audacia, l’imprevedibilità narrativa e visiva dei suoi film migliori. “Dolor y Gloria”, per citare solo l’ultimo, si muoveva su un terreno non troppo lontano – la convivenza di passato e presente, le ferite che non vogliono chiudersi, i destini che si imbrogliano e si impigliano – ma in chiave sfacciatamente autobiografica. Qui invece Almodovar sembra voler dire Noi ancor prima che Io. Scelta legittima, forse non così consona ai suoi mezzi e al suo mondo. Ma così chiara ed esplicita che in tempi simili potrebbe anche portargli fortuna.  Soprattutto in una Mostra mai come quest’anno attenta alle ferite e ai fantasmi della memoria.





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di di Fabio Ferzetti
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2021-09-02 09:40:06 ,

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