War: quando la guerra arriva al cinema

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C’è un film al cinema che parla di una guerra improvvisa nel cuore dell’Europa, e non è la guerra in Ucraina. È War – La guerra desiderata, un film ideato nel 2019, quando l’idea della guerra era giusto una provocazione artistica, un espediente narrativo per costringere i personaggi del film a tirare fuori il meglio e il peggio di loro. Alla regia c’è Gianni Zanasi di Non pensarci, stavolta dirige un racconto che oggi può mettere i brividi, ma allora sulla carta era solo un dramedy surreale. Lo scrive con gli sceneggiatori Michele Pellegrini e Lucio Pellegrini e lo affida ad attori che conosciamo molto bene. 

A partire da Edoardo Leo che veste i panni di Tom, un laureato che alleva vongole (guardando scoprirete il perché) e che quando scoppia il conflitto – nato perché la Spagna dichiara guerra all’Italia con la complicità della Francia – si ritroverà a imbracciare un fucile. A metterglielo in mano sarà Giuseppe Battiston, che offre al pubblico una delle migliori performance di sempre, rabbrividente e assolutamente convincente. Una volta tanto lo si odia fino in fondo: è un barista guerrafondaio e xenofobo che si improvvisa leader di una combriccola di paramilitari per dare sfogo a tutta la sua rabbia repressa, ma anche per sentirsi finalmente importante. Spicca come il personaggio più riuscito del film, quello che racconta bene ciò che accade in piccolo ogni giorno in Italia (il razzismo, l’odio verso l’altro) e che in una situazione critica come quella di una guerra può deflagrare. Ci sarebbe da chiedersi perché mai in Italia abbiamo la fissazione per i film corali, quando anche solo seguire per intero la storia del barista Mauro e la sua involuzione progressiva sarebbe valsa la visione del film

Altra protagonista è Miriam Leone, nei panni di una frustrata psicologa che sceglie di dar voce al suo pacifismo tentando di evitare che il fratello pilota parta per la guerra e tenendo d’occhio il padre, viceministro alla Difesa (Massimo Popolizio), con la complicità di spie straniere. Diciamolo chiaramente, il film presenta diversi difetti strutturali, risulta spesso vago e poco coeso, continuamente sospeso tra scene intrise di realismo e altre tutt’altro che plausibili, tuttavia ha il merito di mettere in scena la metafora di ogni guerra. Cioè, anzi tutto, il conflitto personale che genera. E’ il come si reagisce che fa la differenza, per tutti. Per sopravvivere non occorre solo capire chi si è e quale sia il nemico, ma dissotterrare i propri rimossi. E’ ciò che farà ognuno di questi personaggi, fino alle potenti scene finali, quelle sì, davvero da brividi. Perché quando inizia a sparare per davvero l’essere umano fa paura. E allora forse, di fronte ai carri armati di odio, vale la pena puntare sull’unica cosa che conta: l’amore. Retorico? Sdolcinato? Facilone? Poco importa: nei tempi che viviamo, e che il film involontariamente (o profeticamente) sa restituire, sempre meglio ribadirlo. 



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di Claudia Catalli www.wired.it 2022-11-10 16:30:00 ,

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