
E invece — troppo spesso — finiscono nelle tasche sbagliate: politici di ventura, faccendieri di professione, intermediari senza scrupoli pronti a spolpare ciò che era nato per aiutare le comunità.
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Il caso di Ceccano è solo la parte visibile dell’iceberg.
Un frammento di ciò che è accaduto (e accade) intorno ai fondi PNRR, il più grande piano di investimenti pubblici della nostra epoca.
Un banchetto al quale, in troppi, si sono seduti senza essere invitati.
E non si tratta solo di “politica”.
C’è anche un’altra mano, molto più stabile, molto più radicata, e spesso molto più potente: quella di una parte dei funzionari e dirigenti pubblici, inamovibili, intoccabili, protetti da un sistema che premia l’inerzia e lascia spazio all’opacità.
È lì che convivono fedeltà, consorterie, piccoli e grandi feudi amministrativi che nessuno ha mai avuto davvero il coraggio di scardinare.
Ed è da lì che bisogna partire.
Perché si possono cambiare i sindaci, gli assessori, i governi.
Ma se chi gestisce materialmente i fondi, firma gli atti, assegna gli appalti e guida la macchina amministrativa resta lo stesso, allora a cambiare è solo la superficie. Il resto continua a marcire sotto.
Chi protegge i cittadini da queste bande — politiche, affaristiche e burocratiche — che si scazzottano per entrare nelle amministrazioni non per servire, ma per drenare risorse?
La risposta è semplice, anche se non piace a nessuno:
visibilità, trasparenza, controllo.
E un’opinione pubblica che non distoglie lo sguardo.
Finché non ripuliamo il cuore della macchina, il PNRR e ogni investimento pubblico continueranno a essere terreno di caccia per chi vede lo Stato come un bancomat e i cittadini come un fastidio.














