Il presidente del Veneto invita a rivedere la classificazione dei casi Covid. E dice no ai bollettini settimanali: «Vi immaginate quanti sospetti in assenza di dati?»
«Va modificata la definizione di caso Covid». Luca Zaia, presidente del Veneto, guarda con interesse alle ultime indicazioni che arrivano dall’Ecdc (Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie) che invitano a rivedere i parametri con cui si raccolgono i dati relativi ai contagi da Covid.
Cosa chiede?
«Con il massimo rispetto, chiedo al Comitato tecnico scientifico di valutare se sia possibile introdurre anche in Italia questa classificazione (sono peraltro cosciente che l’asintomatico comunque potrebbe essere un problema)».
A cosa si riferisce?
«Oggi perché un soggetto sia classificato come caso Covid è sufficiente che risulti positivo ad un tampone. Dall’Ecdc, che è il punto di riferimento europeo in questa materia, ci viene proposta un’altra soluzione. Le condizioni devono essere due».
Quali?
«Avere una malattia respiratoria o una sindrome influenzale e, sottolineo e, essere positivo ad un tampone. Si ha un caso Covid solo se ci sono entrambe le condizioni».
Questo cosa significa?
«Vuol dire che non dobbiamo più considerare gli asintomatici e concentrarci su chi sta davvero male. Lo dice un centro di ricerche che in Europa è una sorta di Bibbia. Non è che possiamo prendere per buono quello che dice solo nel giorno di festa».
Quali altre indicazioni ha dato che non vengono recepite?
«Da tempo sostiene che di fronte alla forte circolazione del virus bisogno far ricorso ai tamponi fai da te».
Chi li utilizza già?
«In Germania, Inghilterra e Francia li consegnano addirittura ai ragazzi che vanno a scuola. Due tamponi gratis a settimana. Così diventa quasi un gioco mentre noi ci siamo inventati, nelle scuole superiori, che con due casi positivi scatta l’autosorveglianza che poi significa andare a fare i tamponi in farmacia. Così non funziona».
Sempre sui numeri dei casi di Covid lei ha altro da dire?
«Sì, è dall’inizio che sostengono che esiste una piccola componente di soggetti che vengono classificati come contagiati da Covid ma che in realtà sono tutt’altro».
Faccia un esempio.
«Una donna che deve partorire quando entra in ospedale fa un tampone. Se risulta positiva, anche se non manifesta alcun sintomo, andrà ad aggiungersi alla contabilità dei casi Covid. Questo rischia di farci superare certi parametri. Se vuole le faccio un altro esempio».
Dica.
«A Verona su 131 pazienti che risultano contagiati 50 lo sono solo per caso, non certo per i sintomi. Del resto, è quel che succede anche con i decessi. Un malato terminale che muore per una patologia oncologica se risulta positivo al tampone risulta un caso di Covid. È una stortura».
Si rende conto che così rischia di dare ragione a chi dice che i numeri sono gonfiati?
«Non scherziamo. Stiamo parlando di una piccolissima quota che non giustifica affatto le tesi dei terrapiattisti».
Quindi, cosa chiede?
«Chiedo al Cts di prendere in esame le indicazioni dell’Ecdc e di valutare la loro applicazione anche in Italia. Ci dicano loro con quali limiti. Io ho il massimo rispetto del loro lavoro e mi attengo al loro giudizio».
Presidente, cosa pensa invece dell’idea di diffondere i dati una sola volta alla settimana anziché tutti i giorni?
«Al giorno d’oggi i dati li hai quando vuoi e come vuoi. Semmai, mi pare che ci siano almeno tre soggetti diversi che ogni giorno diffondono le stesse cifre. Forse qui, anche solo per ragioni di costi, bisognerebbe razionalizzare».
Si dice che diffondere numeri tutti i giorni possa ingenerare paura o panico.
«Io ho scelto di parlare tutti i giorni perché i cittadini devono vivere questo percorso insieme a noi. Capisco che un eccesso di numeri possa creare un po’ di disorientamento. Ma quando si hanno 20 mila contagiati al giorno non dirlo sarebbe sbagliato. Il problema, forse, è un altro».
Cioè?
«I modi e i contenuti della comunicazione. Prendiamo la variante Omicron. Da parte di taluni è stata venduta come una sorta di raffreddore, magari un po’ più forte del solito. In buona parte è vero, ma c’è anche chi ne viene colpito e finisce in terapia intensiva. La corretta informazione, quindi, è fondamentale».
E deve essere continua.
«Immaginate quali sospetti si scatenerebbero se per una settimana non venissero resi noti i dati del contagio? In pochi giorni siamo passati da 800 a 20 mila casi. È pensabile non rendere nota l’impennata del contagio?»
Meglio continuare a diffondere i bollettini quotidiani?
«In questo momento non c’è dubbio. Ripeto, capisco qualche preoccupazione ma noi dobbiamo evitare che nascano le leggende metropolitane. Non ne abbiamo proprio bisogno».
14 gennaio 2022 (modifica il 14 gennaio 2022 | 07:37)
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Cesare Zapperi , 2022-01-14 06:38:44
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