La memoria rende liberi. Dal 2012 il Centro Ebraico italiano Pitigliani di Roma si riempie di famiglie in occasione del Giorno della Memoria, il 27 gennaio, la ricorrenza internazionale per commemorare i morti dell’Olocausto. In quel giorno del 1945 le truppe dell’Armata Rossa liberarono il campo di concentramento di Auschwitz e dal 2005, quando l’Assemblea generale delle Nazioni Unite istituì l’anniversario, i testimoni dello sterminio ricordano. E il mondo ascolta. Ma quando non ci saranno più gli spettatori diretti della Shoah, e quel giorno non è molto lontano, come faremo?
Il Pitigliani risponde a questo interrogativo: condividere la memoria. I nonni aprono le valige in cui hanno incardinato il loro incubo peggiore a nipoti e pronipoti porgendogli cartoline consumate, vecchie lettere e documenti sbiaditi, tutto illustrato da una memoria vivida. Nel periodo bellico – spiega Anna Foa consulente storica del Centro Ebraico – in Italia tra campi di concentramento o di lavoro e località di confino o di soggiorno obbligato, c’erano oltre mille strutture di prigionia per gli ebrei. Al Pitigliani, gli anziani sopravvissuti narrano la loro vita alle future generazioni perché le storie personali sono universali ed ogni follia umana è sempre in procinto di tornare.
Il progetto “Memorie di famiglia” è giunto all’undicesima edizione e quest’anno, il secondo da remoto a causa della pandemia, sedici giovani lettori, nipoti e pronipoti dei testimoni della Shoah, ripercorrono la storia degli ebrei stranieri in Italia leggendo i lasciti di bisnonni e trisavoli. Il video è a disposizione delle scuole e le testimonianze sono raccolte e pubblicate in un volume.
Il Centro Ebraico diventa un salotto di abitazione dove la Shoah viene narrata in maniera intima, dove chi ascolta diventa testimone e la memoria non è soltanto una parola. Anziani e giovani, assieme, pensano, soffrono o più semplicemente si chiedono perché. Prevale la malinconia ma è la forza con cui i sopravvissuti piegano il dolore del ricordo. Le “Memorie di famiglia” sono impregnate di buio, ma anche di luce: gli aguzzini banali, certo, ma anche coloro che aiutarono senza indugio gli ebrei italiani perseguitati dal Regime fascista. Al Pitigliani si celebrano anche i tanti connazionali, brava gente sul serio, che vennero nominati ‘Giusti tra le Nazioni’.
In ebraico la parola ‘storia’ non esiste, esiste la parola ‘ricordo’ e la storia è solo ciò che tramandiamo. La buona notizia è che c’è ancora qualcuno che ci ricorda il tormento della Shoah, la cattiva è che ne abbiamo ancora bisogno
[email protected] (Redazione Repubblica.it) , 2022-01-23 19:11:44 ,www.repubblica.it