Quando alla fine dell’anno prossimo entrerà in funzione l’Osservatorio Vera C. Rubin, in Cile, inizieremo a creare la mappa più dettagliata del cielo visibile mai realizzata. Le informazioni che l’osservatorio sarà in grado di raccogliere supereranno di gran lunga i dati ottenuti finora, e l’aspettativa è che portino a importanti scoperte nel campo dell’astrofisica.
La prima mappa stellare della storia può essere fatta risalire all’astronomo e matematico greco Ipparco intorno al 129 a.C. Anche se oggi non esistono tracce della mappa, il lavoro di Ipparco ha rappresentato l’inizio di una lunga e importante tradizione. Nel 1989, l’Agenzia spaziale europea (Esa) lanciò il satellite Hipparcos (High precision parallax collecting satellite), giocando con il nome dell’astronomo. Nei suoi tre anni di attività, il satellite è riuscito a misurare con grande precisione la luminosità, la posizione e il movimento di oltre 110mila stelle nella nostra galassia, la Via Lattea. La missione successiva dell’Esa, Gaia, partita ventiquattro anni dopo, ha aumentato il numero di stelle mappate a due miliardi, senza però riuscire a inoltrarsi nelle profondità dell’universo, per via delle dimensioni limitate della missione. Dopo alcuni ritardi, il nuovo osservatorio terrestre intitolato a Vera Rubin – una pioniera dell’astrofisica del ventesimo secolo – entrerà in funzione l’anno prossimo, e sarà in grado di spingersi molto più lontano nell’osservazione dell’universo.
L’osservatorio sarà infatti dotato di un enorme specchio (8,4 metri di diametro) che ci aiuterà a rilevare non solo i corpi della nostra galassia che non sono visibili a Gaia, ma anche la debole luce che arriva fino a noi da galassie lontane miliardi di anni luce. L’ampio campo visivo permetterà di mappare l’intera volta celeste sopra lo specchio nel giro di pochi giorni, per poi ricominciare il processo. Questa attività continuerà per dieci anni, consentendo la creazione di una serie di mappe che mostreranno il movimento di queste galassie nello spazio e nel tempo.
I dati ci aiuteranno a capire meglio l’energia oscura che sta accelerando l’espansione dell’universo; saranno anche utilizzati per sondare la natura della materia oscura. Negli anni Settanta Rubin fornì la prima evidenza basata sull’osservazione che dimostrava come nell’universo ci fosse molto di più dei soli corpi luminosi che siamo in grado di vedere. Mappando la loro posizione e il loro movimento ai confini delle galassie, Rubin dimostrò che la velocità con cui le stelle ruotano intorno ai centri galattici è troppo grande perché non esista altra materia invisibile che fornisce l’ulteriore attrazione gravitazionale necessaria a tenerle in orbita. In questo modo Rubin riuscì a dimostrare l’esistenza della misteriosa sostanza chiamata materia oscura.
La materia oscura rappresenta circa l’ottantacinque % di tutta la materia dell’universo: a partire dal dicembre 2023 – la data attualmente prevista per l’inizio delle operazioni – l’osservatorio che prende il nome di Rubin ci aiuterà a capire come questa sostanza influenza la formazione e l’evoluzione delle galassie, e addirittura la forma dell’universo stesso.
Leggi tutto su www.wired.it
di Lucie Green www.wired.it 2022-04-10 17:00:00 ,