di Chiara Di Lucente
Per la prima volta, una terapia sperimentale è stata utilizzata per ridurre drasticamente un tumore al pancreas allo stadio metastatico. È quanto emerge da uno studio pubblicato sulla rivista New England Journal of Medicine e condotto dai ricercatori del Providence cancer institute, negli Stati Uniti: sebbene la paziente non sia guarita, è la prima volta che questo approccio dà buoni risultati con un tumore normalmente difficile da trattare (pari a una riduzione del 72% delle dimensioni iniziali delle metastasi) e potrebbe rappresentare il primo passo per lo sviluppo di una nuova terapia che un giorno potrà indurre il sistema immunitario a riconoscere ed eliminare una grande varietà di tumori.
La storia della paziente
A Kathy Wilkes, donna di 72 anni della Florida, era stato appena diagnosticato un tumore allo stadio avanzato: il cancro al pancreas che l’aveva colpita nel 2019, per il quale aveva subito un intervento chirurgico e diversi cicli di radio e chemioterapia, era tornato, e stavolta si era metastatizzato nei polmoni. Tra le opzioni a disposizione della donna c’era quella di ricominciare la chemioterapia, ma Wilkes non voleva farlo. Per questo ha iniziato a studiare la sua situazione e a fare ricerche in maniera autonoma, finché non ha trovato un articolo scientifico del 2016, pubblicato proprio sul New England Journal of Medicine, in cui veniva descritto come un paziente con cancro del colon-retto metastatico fosse stato trattato con successo attraverso una terapia genica sperimentale. Il lavoro era a firma del ricercatore Eric Tran, che all’epoca lavorava al National institutes of health statunitense (Nih). Wilkes aveva deciso di riporre le sue aspirazioni in quello studio: doveva trovare Tran, che nel frattempo aveva iniziato a lavorare a migliaia di chilometri di distanza, al Providence cancer institute.
Lo studio del 2016 di Tran prevedeva l’utilizzo di linfociti T (cellule del sistema immunitario che hanno un ruolo chiave nell’eliminare ciò che considerano una minaccia per l’organismo) prelevati da un paziente oncologico e debitamente modificati in laboratorio in modo che riconoscano le cellule tumorali e dirigano la risposta immunitaria contro di esse. Mentre questo tipo di immunoterapia è già utilizzata per alcuni tumori del sangue e prende il nome di Car-T, per i tumori solidi non era stata mai sperimentata prima degli studi di Tran: in questo caso il team di ricercatori ha modificato i linfociti in modo che potessero riconoscere una proteina presente esclusivamente all’interno delle cellule tumorali, che, attraverso specifici meccanismi del sistema immunitario, viene esposta sulla superficie di esse. A quel punto i linfociti T modificati potevano legarsi alla cellule tumorali e dirigere la risposta immunitaria contro di esse.
Un “farmaco vivente” rivoluzionario
Una volta contattati da Wilkes, Tran e il suo collega Rom Leidner hanno deciso di verificare se il protocollo del 2016 potesse essere ripetuto su un’altra paziente: hanno esaminato i dettagli della storia medica della donna, conducendo diversi test genetici per identificare la specifica firma molecolare del tumore. Poiché il tumore di Wilkes conteneva la stessa mutazione di quello del paziente descritto nello studio del 2016, la terapia con i linfociti T poteva essere utilizzabile: Tran e Leidner hanno chiesto l’approvazione accelerata alla Food and drug administration (Fda) per avere il via libera a uno studio clinico di terapia cellulare su una singola paziente.
Dopo l’approvazione della Fda, lo studio è iniziato: da un campione di sangue di Wilkes sono stati prelevati i linfociti T, isolati e ingegnerizzati in laboratorio; proprio come nel caso del paziente del 2016 sono stati riprogrammati in modo che il recettore presente sulla superficie dei linfociti identificasse la mutazione presente all’interno delle cellule tumorali. Infine, le cellule modificate sono state fatte crescere e poi infuse nella paziente. I risultati sono stati sorprendenti: a un solo mese di distanza dall’infusione, le metastasi presenti nei polmoni di Wilkes si erano ridotte del 62%, mentre sei mesi dopo, il tumore si era ridotto del 72% e le sue dimensioni si erano stabilizzate.
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www.wired.it
2022-06-03 15:47:06