Quanti sono i medici obiettori di coscienza in Italia? Quante le donne costrette a spostarsi fuori regione per effettuare un’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg)? Quante le ore di formazione del personale che si occupa di prestazioni legate all’aborto? Sono queste le domande, alcune delle quali rimaste senza risposta, che hanno mosso Sonia Montegiove e Chiara Lalli, le autrici di Mai dati. Dati aperti (sulla 194), perché sono nostri e perché ci servono per scegliere (Fandango libri).
Un libro inchiesta sulla legge 194 del 1978, la norma che ha reso legale l’aborto in Italia, realizzata utilizzando una richiesta di accesso civico generalizzato. Uno strumento che consente a chiunque di ottenere i dati in possesso della pubblica amministrazione. Per realizzarlo, le autrici hanno inviato un’istanza a tutte le aziende sanitarie e ospedaliere d’Italia, chiedendo appunto i dati sull’applicazione della norma. Un metodo analogo a quello utilizzato da Wired per realizzare l’inchiesta dedicata ai immunizzazioni dell’età pediatrica.
Anche in questo caso, il punto di partenza è la scarsa qualità dei dati messi a disposizione dal ministero della Salute. “Oggi vengono pubblicati dei pdf – spiega a Wired Montegiove – che dovrebbero essere disponibili entro febbraio, ma non sempre è così: lo scorso anno arrivarono a settembre, nel 2022 siamo a giugno e ancora non ci sono”. Questione dirimente per una procedura che, salvo rischi per la salute della madre, deve essere condotta entro i 90 giorni dal concepimento. “Il fattore tempo è decisivo”, dice Montegiove.
Non è tutto. Una delle due autrici spiega anche che “non ci sono dati sui tempi di attesa, perché le Igv vengono ricomprese nel totale delle visite ginecologiche, quindi non sappiamo quanto si debba attendere”. Quei pochi dati che vengono forniti, oltre a non essere aperti sono anche aggregati. Nel senso che “sappiamo quanti aborti siano eseguiti su base regionale, ma non nelle singole strutture, dato che consentirebbe di valutare il carico di lavoro di ciascun ginecologo”, aggiunge Montegiove.
Il risultato è che “il ministero dice che il 67% dei medici sono obiettori, che questo dato è in calo e che mediamente non si rivelano criticità rispetto ai carichi di lavoro”. La parola chiave, è ovvio, è mediamente. Sì, perché l’indagine di Lalli e Montegiove ha permesso di determinare che in Italia esistono 74 strutture ospedaliere dove la percentuale di obiettori supera l’80%. In 26 si arriva al 100%, il che significa che nonostante l’aborto sia garantito dalla legge in queste strutture non viene effettuato. Wired le ha rappresentate su questa mappa.
Problemi a reperire i dati
È appunto in queste strutture, spiega Montegiove, che “emergono le criticità” rispetto all’applicazione della legge 194. “Una donna che dovesse avere la sfortuna di non scegliere la struttura giusta, magari già avanti nella gravidanza, vede allungarsi i tempi e soprattutto vede un servizio che non le viene garantito”, dice. Dati aperti e aggiornati, invece, permetterebbero di rivolgersi direttamente a quelle strutture che invece si fanno carico delle Ivg.
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di Riccardo Saporiti www.wired.it 2022-06-05 05:00:00 ,