L’Occidente, invece, è stato lento nell’adottare le misure locali a tutela di dati e privacy. Allo stato attuale, secondo Le, siamo a circa tre anni dall’entrata in massa dei veicoli elettrici cinesi sul mercato statunitense.
Non si tratta solo di regolamentare i veicoli cinesi una volta arrivati. Come ha dimostrato la violazione di Colombo, anche i produttori di veicoli nazionali devono migliorare la loro sicurezza. Molti produttori inviano via etere aggiornamenti del software e del firmware per vari aspetti dei loro veicoli.
“Pensate al pericolo che si corre quando un aggiornamento viene inviato a centinaia di migliaia di auto in modalità wireless“, ha scritto Alexander Poizner, amministratore delegato dell’azienda britannica di cybersicurezza Parabellyx, in un post sul blog aziendale del 2021. Poizner ha avanzato un’ipotesi: “E se la Cina usasse un malware per interrompere il traffico a Taiwan come preludio a un attacco militare?”.
L’insufficiente regolamentazione ha portato a una totale mancanza di coerenza, prosegue Poizner: “Non esiste un unico standard di cybersicurezza per i veicoli autonomi o per le infrastrutture a supporto di questi veicoli nell’industria automobilistica”.
“I responsabili politici sono in difficoltà ai massimi livelli”, afferma Marjory Blumenthal, senior fellow e direttrice del Technology and International Affairs Program presso il Carnegie Endowment for International Peace, un think tank globale con sede a Washington.
Tra protezionismo e privacy
L’istinto del governo statunitense potrebbe però essere molto simile a quello cinese. In passato, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno semplicemente scelto di vietare i prodotti cinesi dai settori sensibili, dal tentativo fallito di vietare TikTok, allo sforzo, molto più efficace, di escludere la tecnologia di Huawei dalle infrastrutture 5G. Paesi come Australia, Canada e Regno Unito, alleati dell’America, hanno seguito l’esempio allontanando Huawei dai loro sistemi mobili di nuova generazione.
Nel 2018 l’amministrazione dell’ex presidente statunitense Donald Trump ha deciso di imporre dei dazi sul settore automobilistico cinese, sostenendo che la concorrenza straniera minacciasse di minare l’industria nazionale americana, danneggiando così un settore fondamentale di ricerca e sviluppo per le forze armate statunitensi (i dazi sono stati poi rimossi).
Il governo cinese ha chiarito che qualsiasi forma di protezionismo in Occidente sarebbe accolta con misure di ritorsione. Una decisione simile metterebbe probabilmente in ginocchio le principali case automobilistiche occidentali, che attualmente sono in lizza per conquistare nuove quote di mercato in Cina.
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di Justin Ling www.wired.it 2022-07-10 17:00:00 ,