Ad ogni lato della barca Blue Panda del Wwf, che veleggia su uno dei profondi canyon del Santuario Pelagos tra Liguria e Corsica, c’è qualcuno che scruta il mare con il binocolo. L’indicazione della cetologa Laura Pintore è chiara: “Ognuno è responsabile di un settore, la balenottera è in immersione da 15 minuti e potrebbe riemergere da un momento all’altro”. Di lì a poco, qualcuno urla eccitato: “Soffio a ore 14!”. È lì, vicinissima alla barca, udire il suo respiro è un’emozione travolgente, la si sente quanto mai simile, mammifero gigantesco capace come noi di partorire, di allattare ed educare il suo piccolo, di comunicare con i suoi simili.
E poi, mentre la balenottera comune nuota placida, quasi permettendo al nostro respiro di sincronizzarsi con il suo, e i ricercatori scattano foto a ripetizione per avere più immagini possibile per i loro archivi, lo sguardo va oltre. Una grande nave avanza a tutta velocità. Sarebbero bastate poche centinaia di metri: se la balenottera fosse riemersa vicino allo scafo sarebbe stata spacciata. Troppo veloce e con scarsa capacità di manovra per evitarla, il cargo. Evolutivamente inadatta, sia per la vista poco sviluppata, sia per un udito che non riesce a percepire il rumore delle navi come pericolo, la balena.
L’avvistamento dei cetacei, un mestiere difficile
Il risultato è che anche nel Santuario Pelagos, nato per la protezione dei mammiferi marini del Mediterraneo, ogni anno muoiono moltissimi cetacei. Quanti è impossibile saperlo, perché i morti di collisioni, di bycatch (le reti fantasma abbandonate), di inquinamento da plastiche, si inabissano e soltanto poche carcasse finiscono spiaggiate, quindi disponibili per accertare cosa le ha uccise. Ma che le decessi siano tante e frequenti non c’è dubbio.
Le vele per la ricerca
A poco più di 30 anni dall’istituzione in Italia del Santuario per i mammiferi marini (diventato il Santuario Pelagos nel 1999, grazie all’accordo con la Francia e il Principato di Monaco), mancano dati, manca un monitoraggio capillare per capire se nell'”Area Specialmente Protetta di Interesse Mediterraneo” si attuano le misure necessarie a salvaguardare l’ecosistema marino. Sulla Blue Panda ci sono la cetologa Laura Pintore e la guida whale watching Ludovico Sebastiani, e se questo viaggio nel Santuario è un po’ speciale, perché il Wwf ha voluto mettere insieme documentaristi, rappresentanti dei media e influencer per far conoscere il progetto Le Vele del Panda, chiunque può contribuire alla ricerca sui cetacei del Mediterraneo.
Accompagnato da biologi marini, chi partecipa alle crociere di ricerca è coinvolto in attività di avvistamento e foto-identificazione dei cetacei, sia nel Santuario Pelagos, sia nelle zone del Mediterraneo meridionale caratterizzate dai profondi canyon, dove le correnti favoriscono il fenomeno dell’upwelling (cioè la risalita delle acque profonde di grandi masse di acqua fredda, densa e ricca di nutrienti) che ne fa zone di alimentazione per i grandi cetacei.
“La raccolta dei dati è fondamentale per i piani di conservazione dei grandi mammiferi marini – sottolinea Laura Pintore – c’è bisogno degli occhi di tutti, c’è bisogno di una maggiore condivisione dei dati. Il Mediterraneo è uno straordinario hotspot di biodiversità, la conformazione dei suoi fondali fa sì che ci sia da mangiare per tutti, sono state avvistate oltre 20 specie di cetacei, delle quali 8 residenti”. Di queste otto specie, due sono considerate in pericolo di estinzione dalla lista IUCN (il capodoglio e il delfino comune), quattro sono vulnerabili (la balenottera comune, lo zifio, il tursiope e la stenella) su due i dati sono troppo carenti (globicefalo e grampo), ma questo potrebbe appunto voler dire che ce ne sono ormai troppo pochi per avvistarli.
La ricchezza del nostro mare
A conferma dell’importanza del Mediterraneo come hotspot di biodiversità, nei cinque giorni di viaggio nel Santuario Pelagos si riesce a vedere di tutto. Le stenelle dal ventre argentato nuotano spesso intorno allo scafo, deliziando i videomaker con i loro salti e il bow riding, le cavalcate sulle onde a prua della barca. Dal ponte sopraelevato la cetologa avvisa: “Non fatevi distrarre soltanto dalle loro acrobazie, vogliono proprio questo, perché a ore 9 ci sono le madri con i cuccioli”. E infatti a babordo, un po’ più distanti, spuntano quattro piccole pinne vicine a quelle più grandi delle madri, che si tengono sempre prudentemente tra i cuccioli e la barca. L’attesa per la riemersione di un capodoglio, sotto il sole cocente di questa estate torrida, è compensata soltanto dalla visione della sua maestosa coda, che poco prima ha innalzato sull’acqua per andare a immergersi a oltre due chilometri di profondità.
Il grande odontocete può stare in immersione fino a 90 minuti e prevedere dove tornerà in superficie è complicato: “Basterebbe un idrofono da posizionare sotto la barca – dice Pintore – il microfono in acqua ci consentirebbe di raccogliere moltissimi dati, di prevedere dove riemergono i cetacei, per identificarli meglio e avere molte più conoscenze sui loro comportamenti”. Anche in mare la bioacustica è ormai una delle branche di ricerca più importanti, ma come per tutto il resto servono finanziamenti e fondi. L’equipaggio tutto si anima all’idea di quante specie in più si potrebbero avvistare e studiare con l’idrofono, si ipotizzano crowdfunding e si pensa a sponsor per aiutare i ricercatori ad acquistare materiali. Ma intanto c’è chi non ha staccato gli occhi dal binocolo e già ha avvistato qualcosa all’orizzonte.
Una pinna oscilla in maniera bizzarra sul mare calmissimo: è un pesce luna (Mola mola), il più grande tra i pesci ossei, una sorta di fossile vivente, che si lascia trasportare lentamente. All’orizzonte c’è gran movimento, un banco di tonni sta banchettando. Ecco cosa significa “hotspot di biodiversità”, sno bastati pochi giorni per vedere tartarughe Caretta caretta, squali, banchi smisurati di meduse, i voli radenti delle berte in prossimità di Montecristo e cinque specie di cetacei sulle 8 residenti nel Mediterraneo. Ci mancano soltanto il delfino comune, il grampo e il globicefalo, ma poi arriva un messaggio da un’altra delle vele del Panda che è riuscita a raccogliere dati proprio su un raro globicefalo. E l’avvistamento degli zifi ci fa sentire tutti fortunati.
L’avvistamento dello zifio, il grande apneista sconosciuto
Lo zifio, questo sconosciuto
Ludovico Sebastiani quasi non riesce a parlare per l’emozione dopo l’avvistamento di ben 4 zifii. Tra pochi giorni discuterà la sua tesi per il corso di laurea in scienze naturali, che ha come argomento proprio le caratteristiche ecologiche dell’Arcipelago Toscano, area chiave per i cetacei e in particolare per lo zifio (Ziphius cavirostris). Il materiale per il suo lavoro lo ha raccolto proprio grazie al progetto “Le Vele Del Panda” e come guida whale watcher a bordo delle barche del Wwf per due anni ha potuto confermare l’importanza dei monitoraggi a lungo termine per identificare i cambiamenti nell’utilizzo degli habitat e la distribuzione spaziale della specie.
“In termini di gestione il mio studio pone l’attenzione sull’Arcipelago Toscano – dice Sebastiani – e sulla presenza dello zifio, raccomandando l’implementazione delle misure di conservazione all’interno dell’area. Alla luce di quanto ho osservato è evidente la necessità sempre più pressante di ottenere dati ai fini conservativi. Inoltre, e questo è davvero indispensabile, andrebbe preso in considerazione un ampliamento della superficie del Santuario Pelagos, includendo la zona dove si sviluppano i canyon sottomarini a sud dell’Arcipelago Toscano”.
La fragilità del santuario Pelagos
Lo abbiamo visto purtroppo in ogni giorno di navigazione: il Santuario Pelagos è una definizione sulla carta, ai fini della conservazione la sua costituzione porta ben pochi benefici. L’attuazione del Green Deal europeo indica nella strategia dell’UE sulla biodiversità uno dei punti chiave: entro il 2030 gli Stati membri si sono impegnati a creare una rete di zone protette ben gestite, comprendenti almeno il 30% della superficie terrestre e marina dell’Unione. A bordo della Blue Panda, ci si è resi conto che il santuario dei cetacei è in realtà un’autostrada del mare.
Balene, capodogli e tutti i mammiferi marini sono, per dirla con il titolo di un film, “come gatti in tangenziale” e non appena ci si avvicina alle coste, come all’Elba, o a Capraia, il numero di natanti privati che sfrecciano a tutta velocità è impressionante, con ricadute sull’inquinamento anche acustico impressionanti. Le parole di uno dei padri del conservazionismo italiano, Luigi Boitani, tornano sempre alla mente: “Inutile stabilire la quantità di aree da proteggere, se poi non si attuano le misure per proteggerle bene”.
Il tursiope che nuotava vicino alla barca con una busta di plastica impigliata nella coda, lo snorkeling vicino al faro delle Formiche di Montecristo, che ha mostrato un fondale quasi desertico, la temperatura dell’acqua caldissima anche in mare aperto sono prove inequivocabili che il nostro mare è in pericolo. Potrebbero qualcosa anche i nostri gesti, soprattutto quelli di chi si considera amante del mare, ma come possono dirsi tali i tanti diportisti che non si curano di ancorarsi su un banco di posidonia? Eppure il comandante della Blue Panda, Charles Desclers, mostra che è facile evitarlo e non è un caso che a sera l’àncora venga calata dove non ci sono altre barche, perché il posto viene scelto consultando Donia, un’applicazione comunitaria di navigazione e di aiuto per l’ancoraggio al di fuori degli ecosistemi fragili, scaricabile gratuitamente.
Traffico marittimo, rumore e plastica minacciano i cetacei
Ma al di là dei gesti individuali, del passa parola per spronarci a raccogliere la plastica e per segnalare gli animali marini in difficoltà, del sostegno ai tanti enti di ricerca sui cetacei o alle campagne come “Adotta un delfino”, dell’informazione che parla del problema in documentari come quello di Green Storyteller, servono politiche chiare per l’ampliamento e la salvaguardia delle aree protette.
Più che un’area protetta, un’autostrada del mare
Da quando il Santuario dei cetacei è stato istituito la sua nomea di favolosa dimora per i mammiferi marini è cresciuta, sono nati i tour per il whale watching, è aumentata l’attenzione della ricerca, ma di fatto i cetacei che qui hanno sempre vissuto perché, come detto, trovano le condizioni ideali per alimentarsi e riprodursi, sono stati soltanto più fotografati, non più protetti. E non ci sono soltanto loro: il sito del Santuario Pelagos scrive che “una stima approssimativa elenca più di 8.500 specie di animali microscopici” vivono nell’area, e che “rappresentano tra il 4% e il 18% delle specie marine mondiali. Questa biodiversità è notevole, in particolare per quanto riguarda il numero dei predatori al vertice della catena trofica, come i mammiferi marini, perché il Mediterraneo rappresenta solo 0,82% della superficie e lo 0,32% del volume degli oceani del mondo”.
Eppure, come sottolinea Laura Pintore, “in questa piccola area del Pianeta Blu si concentra oltre il 17% del traffico marittimo mondiale“. Uno dei maggiori porti del Mediterraneo è Genova, proprio nel Santuario, poi c’è Livorno, vicinissimo, e ci sono le tante rotte turistiche dei traghetti che collegano Corsica e Sardegna al continente. Ci sono poi le attività militari e le trivellazioni, veri killer soprattutto per i misticeti, e l’inquinamento acustico in generale. E queste sono solo le minacce dirette, perché poi il cambio climatico sta mettendo a rischio la catena alimentare. Non si può pensare di vietare il traffico marittimo, ma qualcosa va fatto. Subito.
Una zona di gestione del traffico marino
Il Santuario Pelagos rimane l’unica area protetta transfrontaliera del Mediterraneo (eccetto il Pomo di Jabuka, nell’Adriatico, che però è gestito sotto GFCM – General Fisheries Commission for the Mediterranean) creato attraverso un accordo internazionale. Dalla sua nascita sono state intraprese iniziative per migliorare le conoscenze scientifiche, attivare una rete di soccorso e monitoraggio degli spiaggiamenti e, in alcuni casi, l’areale Pelagos ha permesso ai Paesi di gettare le basi per evitare ulteriori attività potenzialmente dannose per i cetacei (per esempio, concessioni per l’esplorazione del gas o del petrolio). I Paesi che hanno istituito il Santuario (Italia, Francia e il Principato di Monaco) non sono riusciti però ad accordarsi sulle misure di gestione concrete per la salvaguardia delle specie marine.
“Il nuovo piano di gestione presenta miglioramenti ed elementi concreti, sebbene il Santuario Pelagos sia ancora carente di misure di gestione concrete – dice Giulia Prato, responsabile Programma Mare del Wwf -. I Paesi contraenti si sono impegnati ad aumentare i finanziamenti dedicati al Santuario attraverso un fondo dedicato, attualmente in fase di creazione. Nel 2021, Italia, Francia, Spagna e Monaco hanno iniziato il percorso di designazione in seno all’International Maritime Organization (Imo) di una Particularly Sensitive Sea Area (Pssa) nel Mediterraneo Nordoccidentale, cioè un’area che per la sua importanza ecologica, socio-economica o scientifica necessita di protezione speciale, con azioni che l’Imo può intraprendere, in considerazione dei possibili danni da attività marittime internazionali”.
“Come Wwf – continua Prato – accogliamo con favore il percorso intrapreso da questi quattro Paesi e riteniamo che ci siano due misure principali da mettere in atto (Associated Protective Measures) nella proposta di Pssa: una misura obbligatoria di riduzione della velocità a 10 nodi e l’adozione di una distanza di sicurezza di almeno 1 miglio nautico, se si avvista un cetaceo, per evitare la collisione e adattarsi alle capacità di manovra delle navi”.
Secondo uno studio recente citato dal Wwf, ogni nodo in più o in meno di velocità ha un impatto esponenziale su ciascuna collisione e la ong ha calcolato, in uno studio da lei commissionato, che i costi associati alle manovre di elusione e agli eventuali ritardi corrispondono ad appena lo 0.2% del consumo totale per l’intera flotta del Mediterraneo Nordoccidentale.
Secondo il Wwf, in futuro si dovrebbero poi concordare misure di riduzione dell’inquinamento acustico subacqueo, andrebbero assicurati un monitoraggio e un sistema sanzionatorio commisurato alle eventuali infrazioni e identificate chiaramente le specie di “cetacei di grandi e medie dimensioni” che vivono nel Santuario.
Siamo tutti un po’ cetacei
L’ultimo giorno a bordo della Blue Panda è la ciliegina sulla torta. Non per gli avvistamenti, per la consapevolezza del pericolo che corre il nostro mare. È sabato e sulla rotta verso Porto Santo Stefano, dove si sbarcherà, il traffico di barchette, motoscafi, gommoni è impressionante. Dopo giorni in alto mare, nel silenzio della navigazione a vela, la sensazione di straniamento è fortissima, la consapevolezza che la nostra società ha perso il senso del contatto con la natura, angosciante.
Ci pensa la cetologa Pintore a tirare su il morale della ciurma, proponendo il gioco che fa a ogni fine crociera, l’assegnazione a ciascun partecipante di un cetaceo totem. C’è la stenella iperattiva e lo zifio capace di riportare all’ordine i suoi simili con un morso ben assestato, c’è il tursiope che vuole sempre attirare l’attenzione e il maestoso capodoglio. L’ultimo sguardo sul blu profondo porta a una vertigine: ci sentiamo i padroni, quassù, mentre nelle profondità stiamo distruggendo una vita di cui possiamo cogliere soltanto una parte infinitesimale.
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[email protected] (Redazione di Green and Blue) , 2022-07-30 08:33:17 ,
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Il post dal titolo: In viaggio per salvare zifi, capodogli e delfini scitto da [email protected] (Redazione di Green and Blue) il 2022-07-30 08:33:17 , è apparso sul quotidiano online Repubblica.it > Green and blue