In crescita anche l’apprezzamento per il governo. Consenso elevato pure tra chi vota FdI. La quota più alta di sì tra gli elettori del Terzo polo (94) seguiti da quelli di Partito democratico (93) e Lega (75)
Nell’analizzare il voto alcuni commentatori hanno messo l’accento sul rapporto tra le singole forze politiche e il governo Draghi, che avrebbe favorito gli oppositori e penalizzato i sostenitori, sottolineando sia la vittoria del principale partito d’opposizione e il buon risultato del M5S che negli ultimi mesi aveva mostrato posizioni critiche nei confronti dell’esecutivo, sia il risultato inferiore alle attese del Pd, considerato il più convinto sostenitore del governo, e del Terzo polo, il cui programma faceva esplicito riferimento alla cosiddetta agenda Draghi. Si tratta di un’analisi del tutto legittima ma non condivisibile, alla luce dei dati di popolarità di cui ha goduto il governo uscente fin dal suo insediamento. Ne è una dimostrazione il sondaggio odierno che fa registrare un ulteriore aumento del consenso sia per il governo che per il premier: il 59% degli italiani esprime un giudizio positivo sull’esecutivo e il 63% su Draghi; l’indice di gradimento calcolato mettendo in rapporto i giudizi positivi e quelli negativi, escludendo coloro che non si esprimono, si attesta rispettivamente a 65 e a 69, in entrambi i casi in crescita di 2 punti rispetto a fine agosto.
Come si può osservare dalla serie storica, i sostenitori sono sempre stati superiori ai detrattori in larga misura e ciò rappresenta un elemento di discontinuità rispetto ai governi precedenti che, dopo l’iniziale supporto dei cittadini (la cosiddetta «luna di miele»), hanno tutti fatto registrare un forte calo di popolarità ottenendo più dissenso che consenso, con l’eccezione del Conte II. Ma vi sono altri due elementi di differenziazione: l’inusuale aumento del consenso dopo le dimissioni (di 7 punti e addirittura di 10 rispetto a fine giugno) e la trasversalità dell’apprezzamento, basti pensare che gli elettori di tutte le forze politiche (con l’eccezione di quelle minori connotate come «anti-sistema») esprimono in maggioranza una valutazione positiva per Draghi con punte più elevate tra quelli del Terzo polo (indice 94) e del Pd (93), seguiti da Lega (75) e Forza Italia (73). Interessante osservare che il consenso è elevato anche tra gli elettori di FdI, il principale partito di opposizione (66), che risulta superiore rispetto a quello espresso dai pentastellati (60); e anche tra gli astensionisti prevalgono i giudizi positivi (60).
La trasversalità riguarda anche le caratteristiche demografiche, dato che il gradimento prevale in tutti i segmenti sociali, in particolare tra i maschi, le persone meno giovani, quelle più istruite, di condizione economica medio elevata. Le ragioni dell’apprezzamento del premier sono riconducibili ad una pluralità di fattori a partire dal contesto caratterizzato dalle crisi da gestire (Covid, guerra, inflazione, crisi energetica) che solitamente inducono la maggioranza dei cittadini ad «affidarsi» a chi ha la responsabilità della guida del Paese; poi i successi ottenuti, in primis la campagna vaccinale con il progressivo ritorno alla normalità, senza dimenticare la crescita del Pil nel 2021 e l’aumentato prestigio dell’Italia su scala internazionale. E, ancora, i tratti di immagine del presidente Draghi: hanno giocato a suo favore pragmatismo, il profilo istituzionale, la non appartenenza ad un partito e, dunque, la convinzione largamente diffusa che operasse nell’interesse dell’intero Paese, nonché lo sguardo rivolto al futuro.
Alla luce di tutto ciò, come si spiega la contraddizione tra la popolarità del governo e l’esito elettorale che ha premiato l’opposizione? Innanzitutto, con l’opinione largamente diffusa che un governo di larghe intese rappresenti un’eccezione dettata dalle condizioni di emergenza; sebbene le situazioni critiche non siano venute meno, è probabile che i conflitti all’interno della maggioranza abbiano indotto molti elettori a considerare conclusa la stagione della concordia e a ritenere inevitabile il ritorno alla competizione politica. Ma c’è una seconda ragione, ancora più importante, ed è la domanda di «novità» rappresentata nel 2014 dal Pd di Renzi, nel 2018 dal M5S di Di Maio, nel 2019 dalla Lega di Salvini. All’iniziale entusiasmo ha fatto seguito un forte calo di popolarità che ha contribuito a perpetuare l’alternanza all’«italiana», alla ricerca del nuovo. Insomma, sotto a chi tocca, avanti un altro (pardon: un’altra), senza dimenticare gli oltre 16,6 milioni di elettori che hanno disertato le urne, la maggior parte dei quali volontariamente.
30 settembre 2022 (modifica il 30 settembre 2022 | 22:36)
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Nando Pagnoncelli , 2022-09-30 20:36:51 ,