A rendere meno appetibile ulteriormente il settore ospedaliero rispetto al privato troviamo la scarsa flessibilità. “Un medico ospedaliero in pratica oggi può fare solo quello – incalza Di Silverio -. Quando si firma un contratto in ospedale si può scegliere tra l’opzione infra-moenia o extra-moenia. Nel primo caso la mia attività libero professionale posso eseguirla solo all’interno dell’ospedale, al di fuori dell’orario di lavoro. In quel caso un’alta percentuale di quello che guadagno va all’ospedale. In caso contrario esiste il cosiddetto extra-moenia, cioè svolgo la libera professione in uno studio privato. In quel caso però, per legge, perdo circa il 25-30% dello stipendio perché esiste un’indennità per l’esclusività di rapporto che se faccio extra-moenia non viene più riconosciuta”.
Nell’analisi condotta da Assomed si registra anche una mancata assegnazione per il 12% dei contratti totali: nel recente concorso di specializzazione non è stato assegnato il 74% dei contratti di microbiologia, il 63% di patologia clinica, e il 54% di Medicina di Comunità e cure primarie. Attualmente, spiegano dal sindacato, il medico specializzando svolge la sua formazione all’interno di reparti dove la carenza di specialisti è cronica ed è obbligato a compensare queste carenze lavorando, insieme a dirigenti medici “con una retribuzione tra le più basse d’Europa, fianco a fianco a colleghi assunti mediante cooperative che percepiscono quotidianamente quasi quanto il loro stipendio mensile”.
Nubi all’orizzonte
Il futuro è incerto, soprattutto perché a questi mancati contratti assegnati, che mettono in difficoltà la classe medica del futuro, si aggiungono le dimissioni di quelli in età lavorativa e la mancata copertura dei posti lasciati da chi va in pensione. Negli ultimi 3 anni, denunciava già a luglio il sindacato, il Servizio sanitario nazionale ha perso quasi 21mila medici specialisti. Dal 2019 al 2021 hanno abbandonato l’ospedale 8mila camici bianchi per dimissioni volontarie e 12.645 per pensionamenti, decessi e limitazioni varie. Ogni giorno 7 medici e dirigenti sanitari rassegnano le dimissioni e se il trend dei licenziamenti volontari fosse confermato anche nel triennio successivo, dal 2022-2024 si licenzierebbero altri 9mila medici, arrivando a una perdita complessiva di 40mila specialisti non sostituibili nell’immediato.
Quindi, chi curerà i nuovi malati di domani? “È la domanda che tutti noi dobbiamo porci perché questo è il futuro – conclude Di Salverio –. Ci vuole un finanziamento extracontrattuale per investire sul professionista. Ci possono essere incentivi, come la defiscalizzazione di una parte dell’attività del medico e poi bisogna avere meno vincoli. Oggi fare il medico vuol dire non avere spazio per gli affetti, una famiglia o una vita. Arriveremo presto al punto in cui quel senso etico che ci ha permesso durante e dopo il Covid di continuare a lavorare come animali oltre orario, in barba a tutte le regole, verrà presto sostituito da un senso di sopravvivenza, che porterà poi il medico a dimettersi, come stiamo vedendo già adesso. Ci danno il gagliardetto ma nessuno fa nulla per migliorare la nostra condizione lavorativa”.
Un nodo importante per il sistema sanitario nazionale del futuro che ora è nelle mani del nuovo governo guidato da Giorgia Meloni. “La politica deve capire che il medico non vuole più rimanere in ospedale perché viene pagato poco e lavora male. L’organizzazione ospedaliera deve essere riformata mettendo mano a un decreto legge che è vecchio di 40 anni mentre intanto il mondo è cambiato – dice il sindacalista -. Il problema è che il ministero della Salute è oggi di fatto commissariato dal ministero dell’Economia. Speriamo che questo governo capisca quanto è profondo il problema dei pronto soccorso e faccia qualcosa per risolverlo. Abbiamo già chiesto un incontro a breve: speriamo avvenga al più presto”.
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di Simona Buscaglia www.wired.it 2022-11-07 06:00:00 ,