I tessuti arrivano da aziende che hanno la necessità di disfarsene e i sarti sono persone in stato di detenzione. Sui prodotti, cucita con orgoglio, l’etichetta Made in Carcere, “manufatto di valore realizzato con tessuti di recupero”. Accessori per la dimora, braccialetti, shopper bag, gadget, sacchetti per le bomboniere, coprisella per le bici, ma anche capi di abbigliamento come magliette o costumi da bagno. Nei laboratori sartoriali degli istituti penitenziari di Lecce, Trani e Matera, si cuce di tutto.
“Fare impresa sociale in carcere è un ossimoro”, spiega Luciana Delle Donne, inventrice, nel 2006, della cooperativa sociale Officina Creativa che, tra gli altri progetti, ha dato vita a Made in carcere. Eppure, lei che ha alle spalle un’esperienza da dirigente di banca ventennale, è riuscita a ideare un modello d’impresa negli istituti penitenziari, per dare una seconda possibilità a materiali e persone.
Ogni manufatto è realizzato con tessuti di prima qualità, ma ormai inutilizzabili nelle industrie e destinate alla discarica. Si tratta di scampoli avanzati, campionari di fiere, scarti di grandi produzioni. “Lavoriamo tutti i materiali che si possono cucire, di seconda mano o di recupero” spiega Delle Donne. “Non sono scarti brutti, anzi. Le aziende aspettano solo l’occasione giusta per disfarsene”.
Tra le aziende tessili italiane si è sviluppato un fortunato passaparola, tanto che ora sono loro stesse a contattarli per svuotare i magazzini pieni di tessuto a volte impolverato ma ancora utilizzabile. L’attenzione ai temi sociali e ambientali è molto alta. “Un prodotto Made in Carcere sostiene in termini ambientali e sociali dodici dei diciassette obiettivi per lo sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 dell’Onu“, continua Delle Donne.
“Utilizzare ciò che già esiste, senza dover generare altro consumo o altro materiale inquinante, aiuta a non ingolfare il sistema di smaltimento e inquinamento” spiegano dall’associazione. E sui banchetti dei lavoratori e delle lavoratrici ci si imbatte in stoffa, pelle, carta, persino il tessuto dismesso di una vela di una barca che, assemblati dalle mani dei detenuti e delle detenute, danno vita a oggetti coloratissimi.
“Ci chiamano ‘Montessori per adulti’ – sorride Delle Donne – perché utilizzando materiali diversi abbiamo bisogno di accostarli dal punto di vista cromatico, senza farli cozzare tra loro”, stimolando la creatività dei lavoratori. Nei laboratori sartoriali non occorre essere sarti di professione. Oltre a modellare le borse e i capi di abbigliamento, serve qualcuno che si occupi di tagliare le stoffe, impacchettare i prodotti, smistare i materiali. Il resto lo si impara insieme. L’importante è “cucire”, tra borse e abiti, anche una nuova autostima e una nuova identità.
Attualmente, grazie al sostegno di Fondazione con il Sud, per il brand “Made in Carcere” lavorano 65 persone in stato di detenzione, al 90% donne. Dal 2016 a oggi, tra le macchine da cucire dei laboratori sartoriali, di detenuti ne sono passati centinaia. Ma nessuno di loro, assicura Delle Donne, “è tornato in carcere. Abbiamo una recidiva pari allo zero %”. Ogni lavoratore percepisce un regolare stipendio con cui aiuta la famiglia e i figli. “È importante, per loro, spezzare quella catena del destino per cui ogni figlio di detenuto debba diventare un detenuto”.
Nello store di Made in Carcere si possono comprare (a prezzi ragionevoli) braccialetti, borse, portafogli, astucci, custodie per smartphone e tablet, cuscini, grembiuli, tovagliette, mascherine. La calza della Befana costa 19 euro e sono disponibili anche pacchetti a sorpresa da mettere sotto l’albero. Tutto realizzato a mano e con materiali recuperati, da acquistare se si vuole contribuire all’economia circolare per il sociale.
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[email protected] (Redazione di Green and Blue) , 2022-12-15 07:28:38 ,
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Il post dal titolo: Made in Carcere, il laboratorio sartoriale che dà una seconda vita a tessuti e materiali scitto da [email protected] (Redazione di Green and Blue) il 2022-12-15 07:28:38 , è apparso sul quotidiano online Repubblica.it > Green and blue