Esistono più possibili partite di scacchi che atomi nell’universo osservabile: si stima che il gioco degli scacchi abbia una complessità di circa 10120, ossia uno seguito da centoventi zeri (è il cosiddetto numero di Shannon). O, ancora: dopo che bianco e nero hanno fatto cinque mosse ciascuno, ci sono 69.352.859.712.417 possibili partite che possono essere state sviluppate. Tutto questo per ribadire che il gioco degli scacchi è incredibilmente complesso, profondo e ramificato, e che è impossibile anche solo immaginare di esplorarne l’intero albero. Ma questo non vuol dire che non lo si possa provare a caratterizzare, cosa che infatti fisici, matematici, giocatori fanno praticamente da sempre. L’ultima notizia, in questo senso, è uno studio appena pubblicato su Scientific Reports da Giordano De Marzo e Vito Servedio, due fisici di Sapienza Università di Roma e del Centro ricerche Enrico Fermi (Cref): i ricercatori hanno analizzato quasi quattro milioni di partite di scacchi (3.746.135, per la precisione, per un totale di 18.253 giocatori totali), scaricate da una piattaforma che permette di giocare online, e hanno classificato (o, meglio, ri-classificato) le possibili aperture, ossia gli inizi delle partite, tipicamente le prime 20 mosse, individuando degli “stili di gioco” simili tra loro.
Uno strumento utile
“Non siamo giocatori professionisti – ci ha raccontato De Marzo – ma gli scacchi ci piacciono. In realtà ci occupiamo, tra le altre cose, di cercare di caratterizzare matematicamente la complessità economica: ci siamo accorti che uno strumento matematico di cui ci serviamo comunemente, che coinvolge i cosiddetti network bipartiti, avrebbe potuto essere usato anche per la descrizione delle aperture del gioco degli scacchi”. I network bipartiti si chiamano così perché mettono in relazione due entità, per esempio (in ambito economico) nazioni e prodotti; nel caso degli scacchi, De Marzo e Servedio hanno messo in relazione la bravura dei giocatori e la difficoltà (o, più precisamente, la complessità) delle aperture. L’idea, ci dice ancora De Marzo, è che se diversi giocatori scelgono di giocare più volte due specifiche aperture, è ragionevole pensare che queste due aperture siano simili tra loro: “Studiando le co-occorrenze delle aperture, abbiamo costruito un network che descrive la loro similarità, individuando dieci grandi gruppi di aperture; curiosamente, questa nostra classificazione non è uguale a quella ‘classica’, stilata dai grandi maestri di scacchi”. Per esempio, aperture che “tradizionalmente” sono considerate diverse vengono invece giocate ripetutamente dallo stesso giocatore; e dunque, hanno concluso i ricercatori, devono avere qualche somiglianza, ovvero far parte dello stesso gruppo. In questa ri-classificazione, ogni gruppo costituisce insomma un certo tipo di gioco (offensivo o difensivo, per esempio). E, ancora, questo metodo di classificazione potrebbe essere applicato anche ad altri giochi, come Go o Stratego.
La classificazione
Tradizionalmente, le aperture sono classificate come aperte (sic), semiaperte, chiuse o irregolari. La classificazione standard si chiama Eco-Code (Encyclopaedia of Chess Openings) e le divide in cinque gruppi indicati con le lettere A, B, C, D, E. “Il nostro metodo di raggruppamento – dice Servedio – rappresenta una nuova classificazione che in qualche modo è vicina a quella precedente [sono state aggiunte altre cinque lettere, nda] e che può essere usata per mostrare ai giocatori quanto siano in realtà simili aperture apparentemente diverse”.
Questo approccio, inoltre, ha permesso ai ricercatori di determinare anche quanto sia bravo un certo giocatore e quanto sia complessa una particolare apertura. L’idea alla base, ancora una volta, è che se una particolare apertura è giocata da molti giocatori allora è probabile che sia un’apertura semplice: gli autori del lavoro, per l’appunto, hanno esaminato le aperture giocate di più e chi le giocava, costruendo così una misura della complessità delle aperture e della bravura dei giocatori. Per verificare la correttezza dei loro risultati, li hanno poi incrociati con i punteggi reali dei giocatori, osservando una correlazione statisticamente significativa: “Questi risultati – ha concluso Servedio – sottolineano sia l’importanza delle metriche che abbiamo introdotto che l’accuratezza della nostra analisi”. I ricercatori si sono inoltre avvalsi della consulenza di un famoso maestro di scacchi (che ha preferito restare anonimo) per assicurarsi che i risultati fossero validi e pertinenti.
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di Sandro Iannaccone www.wired.it 2023-04-10 04:40:00 ,