Si è guadagnato l’appellativo di bene rifugio per eccellenza, dove parcheggiare i capitali per sfuggire alle turbolenze finanziarie. Nell’ultimo mese l’oro è tornato a correre, superando di slancio la soglia dei 2mila dollari l’oncia – l’unità di misura del metallo pregiato, corrispondente a circa 31 grammi – e portandosi a un passo dal record storico di 2.075 dollari, raggiunto nell’agosto 2020 in piena pandemia. Solo un’altra volta l’oro ha toccato questi livelli: a marzo 2022, subito dopo l’invasione russa dell’Ucraina, quando oltrepassò i 2.050 dollari l’oncia. Oggi come allora gli investitori confidano nel lingotto per mettere al riparo i propri risparmi.
Cosa c’è da sapere:
L’oro come bene rifugio
Fin dalle prime civiltà della Mesopotamia l’oro è stato un materiale molto ricercato, inizialmente per le cerimonie religiose e in seguito come merce di scambio e riserva di valore. Straordinariamente resistente, oltre che facilmente riconoscibile, l’oro non si altera con il tempo e mantiene intatte le proprie qualità.
A partire dagli anni Settanta del secolo scorso, il lingotto ha perso in gran parte il ruolo di mezzo di pagamento, dopo la sospensione della convertibilità dei dollari americani in oro, ma ha mantenuto lo status di bene rifugio: uno scudo contro l’inflazione, gli eventi geopolitici, le crisi economiche e finanziarie e le calamità. L’esposizione all’oro è tuttora considerata da molti investitori un requisito essenziale per un portafoglio diversificato e al sicuro dagli imprevisti. Il metallo giallo è favorito dalla relativa scarsità e dalla capacità di conservare il suo valore nel tempo, e in genere si muove all’opposto dei mercati azionari: quando le azioni calano, l’oro tende ad apprezzarsi.
Perché il prezzo è salito
È stata la crisi bancaria a ridestare il rally dell’oro: il 9 marzo, il giorno prima del fallimento della banca californiana Silicon Valley Bank, il prezzo all’oncia era appena sopra i 1.800 dollari. Da allora è salito circa del 12%, arrivando anche a scavalcare i 2.040 dollari. L’oro è stato lo scoglio a cui gli investitori si sono aggrappati nel tentativo di indovinare l’evoluzione della crisi, partita dagli Stati Uniti e sbarcata in Europa con il salvataggio di Credit Suisse per mano della concorrente Ubs. Ad aumentare l’irrequietezza anche le osservazioni del guru della finanza Jamie Dimon, ad della banca JpMorgan Chase, convinto che lo stress bancario non sia ancora finito (“Ci saranno ripercussioni per anni”).
A spingere le quotazioni dell’oro concorrono i timori di un rallentamento dell’economia statunitense, corroborati dalle ultime cifre sull’occupazione: il numero di occupati nel settore privato è aumentato molto meno del previsto a marzo, e il dato chiave dei non-farm payrolls – il conteggio delle buste paga nei settori diversi dall’agricoltura – ha evidenziato la crescita mensile più bassa da dicembre 2020. Numeri così anemici lasciano presagire che la stretta monetaria della Federal Reserve stia per concludersi (e l’oro gioisce).
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di Greta Ardito www.wired.it 2023-04-12 05:00:00 ,