Per questo, rispondono in maniera coerente approssimando i risultati come farebbe una persona che si esprime nella sua lingua madre, “nessuna delle quali è fatta per avere la precisione matematica assoluta“, osserva Bertino. Tra le abilità emergenti, quella di fare buone traduzioni da una lingua all’altra oppure di scomporre e analizzare in maniera logica problemi anche complessi che, se presentati come un unico, non riescono a risolvere.
Il test di Turing al contrario
Fino a oggi i benchmark per le intelligenze artificiali erano pensati per comparando una Ai a un modello precedente. Più il “famoso” test di Turing, dal nome del geniale inventore della scienza informatica Alan Turing, che spiega che una Ai ha comportamenti intelligenti se in una conversazione via chat una persona non capisce che il suo interlocutore è artificiale.
Il test di Turing inverso invece viene messo alla prova un computer per verificare se è in grado di determinare se sta interagendo con un essere umano o con un altro computer. Con ChatGPT-3 e le altre intelligenze artificiali, la prova è sulle persone, che devono trovare cose interessanti da far fare alla Ai.
“Siamo entrati in una fase nuova – dice Maruzzella – in cui le aziende vogliono poter usare la tecnologia Ai per avere impatti concreti: migliorare l’esperienza dei loro clienti, aiutarli a trovare le informazioni o le soluzioni che cercano. Migliorare l’esperienza del cliente ha un impatto diretto sul fatturato e questo è diventato molto interessante per molte aziende”.
La gestione delle domande
Quello che sta cambiando adesso è anche l’approccio alle Ai. Diventa rilevante non la programmazione ma il modo con cui si costruiscono le domande. È un approccio “no-code”, per il quale non serve saper programmare. Proprio come la rivoluzione di chi faceva i siti web anni Novanta a mano e chi, dopo il Duemila, ha iniziato a usare le piattaforme come WordPress che hanno automatizzato tutte le operazioni.
Nuove professioni, come il prompt designer, cioè la persona che progetta la conversazione, il responsabile etico dell’Ai che si occupa di verificare che dati passati alla Ai per addestrarla siano “puliti”: rispettosi delle persone e del diritto d’autore. E infine l’etichettatore dei dati, sempre più richiesto perché capace di organizzare la conoscenza a grandi linee per poi fornirla alle Ai.
“Prima di questa nuova fase delle Ai – dice Bertino – era necessario accumulare molte osservazioni, cioè molti dati. Era il mondo della statistica. Adesso siamo passati al versante dell’istruzione: non occorre raccogliere dieci ricette degli spaghetti alla carbonara ma basta chiedergli come si fa la carbonara. L’investimento di OpenAI, che sta avendo il feedback di milioni e milioni di utenti, da questo punto di vista paga moltissimo, il livello è molto alto. Si vede rispetto a Bard di Google, per esempio. Qui emerge il ruolo del designer dei prompt, perché la qualità della generazione delle risposte dipende dalla sensibilità di un essere umano e dalla sua capacità di fare le domande nel modo giusto“. Il posto di lavoro, insomma, se lo prenderà chi saprà usare le Ai, cioè sapendo parlare con loro.
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di Antonio Dini www.wired.it 2023-04-14 05:00:00 ,