Esistono funghi di ogni forma e dimensione. Carnosi porcini, rugosi galletti, piccoli e cespitosi chiodini; ma anche i microscopici lieviti con cui facciamo il pane e fermentiamo le bevande alcoliche, le muffe che crescono sul cibo invecchiato, e patogeni insidiosi come la candida o l’aspergillus. Quello dei funghi è forse il regno più antico, abbondante e ricco di biodiversità tra quelli in cui classifichiamo le specie presenti sul nostro pianeta. E nonostante sia studiato da secoli, continua a riservare enormi sorprese. Negli ultimi anni, ad esempio, i micologi si sono trovati di fronte a una scoperta che, secondo alcuni specialisti, dovrebbe portare a riscrivere le regole con cui vengono classificati i miceti: una moltitudine di funghi impossibili da osservare o crescere in laboratorio, identificabili solamente con il campionamento genetico, che compongono quella che alcuni esperti hanno iniziato a definire una “materia oscura fungina”, che potrebbe rivelarsi anche più abbondante di tutte le specie di funghi già classificate dalla scienza.
Un regno sconfinato
Quello dei funghi è un gruppo estremamente vario di organismi, che comprende specie con enormi differenze morfologiche e ecologiche, che abitano praticamente in ogni ambiente del nostro pianeta: nel suolo, sulla materia vivente, nell’acqua e nell’aria. Ufficialmente, la scienza ha catalogato più di 150mila specie di miceti, ma si stima che probabilmente ne esistano tra i due e i quattro milioni. Il che significa che con ogni probabilità la maggior parte dei funghi che esistono sul nostro pianeta deve ancora essere scoperto, catalogato e riconosciuto ufficialmente. E non si tratta certo di un compito facile.
Molte specie di funghi sono infatti unicellulari o comunque di dimensioni microscopiche, e quindi per loro natura difficili da identificare e caratterizzare. In altri casi, funghi all’apparenza identici si sono rivelati estremamente diversi sotto il profilo genetico, rendendo complicata la loro classificazione con le procedure tradizionali della micologia. Un aiuto, in questo senso, è arrivato dai progressi della genetica, che oggi permette di raccogliere un campione di suolo o di qualunque altro sostrato che si vuole indagare, e sequenziare in pochissimo tempo il Dna presente al suo interno, per identificare le specie di funghi presenti al suo interno. Come spesso accade, il grande progresso tecnologico ha aperto anche nuovi problemi. Uno su tutti, la difficoltà di catalogare nuove specie identificate unicamente attraverso la presenza di materiale genetico sconosciuto: la materia oscura fungina, appunto, qualcosa che al pari di quella astronomica, sappiamo esistere, ma non abbiamo trovato un modo per osservare direttamente.
Barcoding
La tecnica utilizzata per i campionamenti genetici chiama barcoding, e consiste nell’identificare segmenti di Dna all’interno di un campione, indicativi della presenza di una determinata specie vivente. Se lo scopo è quello di valutare la biodiversità presente in un dato ambiente, è possibile fare la stessa cosa analizzando tutti i campioni di Dna presenti nel campione (tecnica definita metabarcoding), ed è quando si effettuano analisi di questo tipo che emerge la materia oscura fungina. Analizzando campioni di suolo, impianti radicali, e altri habitat simili gli scienziati si trovano infatti, regolarmente, di fronte a moltissime nuove specie di funghi mai classificati in precedenza, e a cui è impossibile assegnare un nome scientifico seguendo le attuali norme di catalogazione del Codice internazionale per la nomenclatura delle alghe, funghi e piante.
Le regole internazionali per la catalogazione di nuove specie richiedono infatti che ne sia raccolto un campione e custodito all’interno di un fungarium, perché questa possa ricevere il suo nome scientifico. Ma quasi sempre, utilizzando il metabarcoding gli scienziati non riescono a identificare nel campione analizzato gli esemplari di funghi a cui corrisponde il nuovo materiale genetico, né riescono a coltivarli nei loro laboratori. Di loro, quindi, sanno solamente che esistono, e non possono neanche attribuirgli un nome che permetta ad altri ricercatori di riconoscerli quando, a loro volta, si troveranno ad effettuare campionamenti con il metabarcoding.
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di Simone Valesini www.wired.it 2023-04-17 04:40:00 ,