Le concessioni per l’occupazione delle spiagge italiane ai balneari non possono essere rinnovate automaticamente, ma devono essere oggetto di una procedura di selezione imparziale e trasparente tra diversi candidati. È quanto stabilito dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, nell’ambito del ricorso presentato dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) contro una delibera del comune di Ginosa, in Puglia, che nel 2020 aveva autorizzato la proroga automatica delle concessioni.
La vicenda:
Cosa prevede la direttiva Bolkestein
Da quando sono state assegnate la prima volta, le licenze per l’occupazione del demanio marittimo italiano sono rimaste sotto il controllo di alcune famiglie e tramandate da una generazione all’altra, nonostante questo sistema sia contrario alle norme sulla mercato comune europeo emanate nel 2006, la cosiddetta direttiva Bolkestein.
In base alla direttiva, le licenze, che sono proprietà dello Stato, devono essere concesse in base a una procedura di selezione tra i candidati potenziali, quando le autorizzazioni disponibili sono limitate per via della scarsità di risorse naturali, come il numero di chilometri di coste e il diritto a mantenere alcune spiagge libere al pubblico.
Le autorizzazioni devono poi essere rilasciate per una durata limitata e non possono prevedere un rinnovo automatico, ma devono ogni volta sottostare a nuove gare, in modo tale da tutelare la libera concorrenza nel mercato.
Le proroghe dei governi
Tuttavia, con una legge del 2018, il primo governo Conte ha previsto una proroga delle concessioni fino al 31 dicembre 2033, dopo che l’Italia era già stata condannata dalla Corte di giustizia per il mancato rispetto della direttiva. Cosa che ha fatto aprire una nuova procedura di infrazione contro lo Stivale da parte della Commissione europea.
Così, nel 2021, è dovuto intervenire il Consiglio di Stato, che ha ribadito la superiorità delle norme comunitarie in materia su quelle nazionali, specificando come, a partire dal 2024, tutte le concessioni demaniali dovranno considerarsi prive di effetto ed essere sottoposte a gara.
Nel frattempo però, il comune di Ginosa, forte della legge del 2018, ha prorogato tutte le concessioni del suo territorio nel 2020, facendo così intervenire l’Autorità garante per la concorrenza e il mercato per garantire il rispetto delle norme europee. Il caso, che ha coinvolto più di venti stabilimenti balneari e il comune di Ginosa, è arrivato alla Corte di giustizia che, il 20 aprile del 2023, ha confermato l’illegittimità della direttiva.
Cosa ha stabilito la Corte europea
Oltre a ribadire l’obbligo di applicare la procedura di selezione imparziale e trasparente per conferire le concessioni, la Corte ha specificato come il divieto di rinnovo automatico sia enunciato “in modo incondizionato e sufficientemente preciso” da poter essere considerato una disposizione “produttiva di effetti diretti” e che, nel contesto italiano, non sono emersi elementi idonei a bloccare la validità della direttiva.
Ma il tema delle concessioni balneari non riguarda solo i gestori degli stabilimenti e gli eventuali concorrenti, ma è un tema che colpisce direttamente le casse dello Stato e quindi tutta la cittadinanza. Infatti, come riportano L’Espresso e Reuters, i canoni per le sole concessioni balneari richiesti dallo stato sono bassissimi, pari a solo 55 milioni l’anno per un settore che ha un fatturato di circa 15 miliardi di euro annuo.
E oltre a essere bassi, i canoni vengono spesso non pagati, dato che, nell’ultimo anno, su 55 milioni richiesti, i gestori hanno versato solo 43,4 milioni, con un tasso di morosità del 20,3%. La questione del rispetto della direttiva è quindi molto più di un mero problema di prevalenza delle norme comunitarie su quelle nazionali, ma una necessità per riaprire un mercato fermo, preda di favoritismi e clientele, che sottrae entrate e possibilità a tutto il paese.
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di Kevin Carboni www.wired.it 2023-04-20 12:54:09 ,