Il ritorno in Italia di ChatGPT apre alla fase di distensione tra OpenAi e i garanti della privacy nel mondo, che stanno investigando sul potente chatbot. Perché gran parte delle politiche che la startup ha messo in piedi per soddisfare le richieste dell’Autorità garante della protezione dei dati personali in Italia hanno effetti anche sugli utenti europei e mondiali. Il che non vuol dire che è tutto finito. Ma Sam Altman e i suoi hanno fatto i compiti a abitazione. E questo vantaggio regolatorio potrebbe accelerare anche quello tecnologico, che già ha visto OpenAi sparigliare le carte del settore delle intelligenze artificiali generative dallo scorso novembre, quando ha reso ChatGPT disponibile per tutti.
Sam Altman ha detto chiaro e tondo che questi enormi oceani di testi con cui si allenano i grandi modelli linguistici (large language model, Llm) sottostanti i chatbot non sono più sostenibili. Per costi di calcolo. Ma anche per disponibilità dei testi. Già GPT-3, il penultimo modello alla base di ChatGPT, è stato allenato con i migliori testi disponibili online. Per GPT-4, ancora più potente, si rischia di non avere abbastanza materiale da dargli in pasto. Motivo per cui è utile aver risolto il tema privacy. Benché le regole sulla tutela dei dati non siano uguali in tutto il mondo, la legge europea, il Gdpr, ha fatto scuola e aver superato gli esami su questo fronte garantisce alla startup di aver in mano le risposte per mettere a tacere le preoccupazioni altrui, prevenendo eventuali future indagini.
Le novità:
Zero conoscenza
La modalità incognito, ossia la funzione che consente di impedire a OpenAi di salvare la cronologia delle conversazioni e di usarla per allenare ChatGPT, si può attivare facilmente dalle impostazioni (a cui si arriva dall’icona con i tre puntini in basso a sinistra). In questo modo, di default ChatGPT non potrà usare il contenuto degli scambi in chat per allenarsi. Cosa che fa, come scrive OpenAi nella sua rinnovata informativa privacy su impulso del Garante italiano: “I contenuti che ci fornisci siano utilizzati per migliorare i nostri servizi, per esempio per allenare i modelli linguistici che alimentano ChatGPT”.
I dati personali non sono solo nome, cognome, indirizzo email, data di nascita, ma anche tutte quelle informazioni che trapelano dalle domande che poniamo al chatbot: i nostri gusti musicali; le preferenze politiche; idee inespresse ma individuabili, tra le righe; credenze religiose; piatti preferiti. Ora OpenAi avverte chiaramente che li userà per allenare il suo algoritmo (come faceva prima) e lo ha messo bene in evidenza: appena ci si collega, nelle impostazioni, in fase di registrazione. Occorre dare l’ok a quel trattamento, il consenso. E se vogliamo, possiamo sottrarre quelle informazioni all’azienda.
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di Luca Zorloni www.wired.it 2023-04-29 11:00:00 ,