Nel resto del cast figurano Nick Stahl e Marc Dacascos, quest’ultimo protagonista, nel 1995 dell’adattamento francese di Christophe Gans – riuscito solo a metà – di Crying Freeman di Koike e Ikegami, e qundi un altro volto azzeccato in un cast che vuole compiacere gli otaku. Baginski affida a lui, a Mackenyu e al resto del cast coreografie d’azione da videogioco: velocissime, ipercinetiche, spettacolari, quasi impeccabili e spinte ai limiti delle potenzialità pressoché infinite della Cgi. Cosa non funziona quindi? La storia e la menzionata “contaminazione”. I tre autori della sceneggiatura – Josh Campbell, Matt Stuecken e Kiel Murray – sono riusciti nel raro compito di privare di qualsiasi attrattiva una trama avvincente che Kuramada affonda nella mitologia greca rendendola unica e originale. Quando Stahl comincia a imprecare per essere stato trasformato in cyborg – scena tra l’altro riportata orgogliosamente anche nel trailer – è il momento in cui si ha la conferma di assistere all’americanata di turno, un’anemica e insulsa oscenità senza cuore che nulla a che vedere con il manga emozionante, eroico ed epico di Kuramada.
Una trama semplicistica nella quale gli intenti di localizzazione – un processo di occidentalizzazione totale che informa forma e contenuti – fagocitano l’anima del manga e dei personaggi per farne un superficiale e banale cinecomic, dipanato con pochezza di spirito al limite del ridicolo e con la totale incapacità di scatenare all’immenso potere della nostalgia. È una sofferenza vedere Mackenyu mettere tutto sé stesso in quello che probabilmente considerava il ruolo della vita, circondato da un cast privo di ispirazione – difficile evocarla da una sceneggiatura così piatta e impoverita – e dalla desolazione, mentre si trascina verso un finale tutto action ipervitaminizzato foriero di sequel che speriamo di non vedere.
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di Lorenza Negri www.wired.it 2023-06-26 13:00:00 ,