Bruce Wayne/Batman è alle prese con imitatori, dilettanti allo sbaraglio, le maschere che anticipano l’appropriarsi di simboli della cultura pop da parte delle masse rivoluzionarie o supposte tali. Non siamo ancora dalle parti della preveggenza sull’assalto ai luoghi della democrazia che si vedrà nel capitolo successivo, del populismo fascista di Bane che anticipa Trump, con la distorsione della realtà, ma già in questo world building, in quella riunione di Mafia dove il clown psicopatico fa la sua celebra comparsa citando proprio Proyas e il suo giustiziere, si può scorgere un elemento chiave: la crisi della democrazia e di chi la deve proteggere.
Il film di Nolan in fin dei conti è una corsa contro il tempo di un eroe che cerca di tenere insieme i pezzi di una città in cui l’anarchia è dietro l’angolo, dove un profeta del Caos cerca la conferma di essere nel vero, che il suo nichilismo anarcoide è la verità che tutti negano. Arriverà la sua sconfitta, l’empatia che spunta dove meno te lo aspetti, ma prima, prima c’è l’elogio dell’emarginato e della maschera. Batman e Joker in Il Cavaliere Oscuro sono diversi come il giorno e la notte, ma sono anche simili in modo inquietante. Heath Ledger, accolto in modo dubbioso e quasi sprezzante come candidato, infine elevato all’immortalità da questo ruolo, fa del suo villain un simbolo assieme di verità e di menzogna. La verità? Lui è la mente più politica, più lucida nella sua follia tra i due. Christian Bale è qui un detective, un protettore, una sorta di Sherlock Holmes che si deve misurare con un Moriarty che però non segue la sua logica, non segue alcuna logica, è l’irrazionalità dell’uomo comune che rinnega i suoi pari e la società come gabbia. “Siamo mostri” spiega al Cavaliere Oscuro, “io e te siamo uguali”. Bruce non capisce subito della verità in quelle parole, della maschera sotto la quale entrambi possono essere liberi e sé stessi, gli altri ne indossano una invisibile di carne buona per tutte le occasioni. Pirandello non avrebbe fatto di meglio, Nolan si spinge al limite, mentre mette in mostra un duello di intelligenze come non si vedeva da tempo.
Un’inquietante analisi sul concetto di bugia e verità
“Ci sono uomini che non si possono né comprare né dominare” spiega Alfred paziente al suo ragazzo, che non ha ancora capito con chi ha che fare “non ci si ragiona né ci si tratta”.
Vedere bruciare il mondo. Joker si guadagna la fiducia di Falcone e degli altri, parla la loro lingua fatta di denaro e impegni, ma è una recita, è una bugia. Permane, a 15 anni di distanza, il fascino assoluto che esercita questo cattivo. Joker è né alto né grosso, né un formidabile tiratore né un guerriero esperto, eppure è il più pericoloso degli avversari perché dotato di una penetrazione psicologica unica, di un’imprevedibilità assurda. La stessa che Nolan gli fa usare mentre guida verso la pazzia Harvey Dent, il migliore che diventa il peggiore, un uomo che crede in sé stesso che finisce per credere alla sorte. Più di tutti rappresenta la rabbia di chi si sente tradito dalla società, dal sistema, per quanto forse la sua figura sia stata eliminata in modo un po’ sbrigativo, deformata esageratamente da Nolan. Fateci caso, il regista prende e seleziona solo ciò che è funzionale alla sua cinematografia, fatta anche qui di tempo e spazio che assediano i protagonisti, della verità che sfugge, della maschera e del rapporto tra uomo e società. Non ha nulla in comune con il Batman di Keaton o di West, nulla con quelli di Schumacher o Snyder. Forse solo Reeves, con il suo Pattinson alla Cobain, ha raccolto un parte di quell’eredità. Il mondo del resto, dopo 15 anni, è se possibile peggiorato.
Leggi tutto su www.wired.it
di Giulio Zoppello www.wired.it 2023-07-14 04:40:00 ,