Oppenheimer, il grande ritorno di Christopher Nolan, l’ultimo, vero, grande narratore autoriale capace di offrire un intrattenimento popolare è un film incredibile, viscerale, potentissimo.
Può essere definito anche il suo miglior film dai tempi di the Prestige, per come affronta tematiche molteplici in modo coerente e affascinante, ma soprattutto sa regalare un viaggio emotivo unico, mentre ci illumina su uno dei momenti cardine della storia dell’umanità.
Non un banale biopic ma un film universale
Oppenheimer non è banalmente il film sulla genesi dell’atomica, non è neppure un biopic in senso stretto, classico, ma un film che azzera la concezione di genere perché li comprende un po’ tutti. Il regista ha parlato di una forte connessione all’horror, in diversi momenti lo è, così come un thriller, un dramma giudiziario, una commedia, un melò, uno scif-fi. Ma ciò che ci ha donato Christopher Nolan in questo film, dove regnano sovrani il dialogo, i primissimi piani, diviso tra il bianco e nero della modernità maccartista e il passato pieno di illusioni, è soprattutto il più completo ed esaustivo racconto cinematografico sul concetto di ambiguità morale.
Questo tema domina tutti i 180 minuti di un’odissea in cui Cillian Murphy, dimostra ancora una volta di essere se non il miglior attore della sua generazione, di certo quello più abile nel rendere trasparente ogni emozione, pur alle prese con un uomo fatto di incomunicabilità, solitudine e sileni. Robert Oppenheimer, mostro per alcuni, eroe per altri, mente eccezionale e cardine del progetto Manhattan, è un uomo in pena, ricolmo di difetti tanto quanto di quel genio, che in certi momenti maneggia con lo stesso noncuranza con cui farebbe il bambino con la pistola del padre. Il fatto più incredibile, è che ne è perfettamente conscio, è un mix di speranza e cinica coscienza dei suoi e altrui limiti.
Oppenheimer spazia dagli anni ‘30 alla vergogna della persecuzione negli anni ’50, in quell’America che era ossessionata dal comunismo, dall’incubo nucleare e dalla supremazia da ottenere mediante il fungo atomico. Invece i sovietici ci sono arrivati all’atomica, contro ogni aspettativa, contro il supposto vantaggio tecnologico, ma di chi è la colpa? Chi è il traditore che li ha messi al corrente del lavoro svolto al Los Alamos? Come è possibile fidarsi di quello strano scienziato, con un passato di simpatizzante comunista? Domande, dubbi, che inseguono il creatore della bomba, che scopre con orrore di aver sopravvalutato la società, la politica, persino gli scienziati che vedeva sopra tutto e tutti.
Nolan cuce assieme flashback e flash forward, facendo ruotare attorno all’interpretazione di Murphy un cast corale, che per perfezione di collocazione e armonia, andrebbe mostrato con una pacca sulla spalla a Wes Anderson, uno che invece queste moltitudini attoriali alla fine non è più stato capace di dominarle. Nolan lo fa, dall’inizio alla fine, ad ogni membro del progetto Manhattan, ad ogni donna nella vita di Oppenheimer, ad ogni politico, senatore, scienziato, amico o nemico, dona uno scopo, un posto, uno sguardo e una voce mai banali. In questo dimostra di avere imparato la lezione rispetto ad alcuni passi falsi del suo passato, l’eccessiva schiavitù della caratterizzazione alla supremazia dell’iter diegetico. Per equilibrio tra le due parti, questo film è un vero miracolo della cinematografia moderna.
Oppenheimer si muove completamente all’interno della mente del suo protagonista, questo riguarda anche la lunghissima parte ambientata nel deserto, il suo deserto, quello che lui conosceva così bene, sorta di scatola dentro cui Dio ha deciso che sta succedendo l’inimmaginabile. Lì il moderno prometeo libera una forza, un futuro, di cui ignora il volto ma intuisce instabilità, pericoli, incognite ma pare incapace di fermarsi. Solo per il nazismo con cui è in gara? No, è l’Ulisse di Omero che incurante visita luoghi e mostri, che va verso l’orizzonte anche assomiglia alla fine del mondo. Il mito, torna più e più volte nella sua accezione semiotica e simbolica in questo film. Fuoco, terra, cielo, sono i supporti primari della trama di Nolan così come erano le onde del mare, la spiaggia di Dunkirk, la pelle tatuata di Guy Pierce in Memento o i vicoli di Gotham per il suo Cavaliere Oscuro. Luce e tenebra non ci lasciano mai, sono dentro gli occhi di Robert, quelli di sua moglie, il futuro di cui atterrito si rende conto di non aver capito niente. Oppenheimer si guarda da un buco di una serratura, vede il suo lento diventare morte, distruttore di mondi. Nessuno pare veramente capirlo, né il Generale Sorge di un bravissimo Matt Damon, né i suoi vari colleghi, neppure la moglie, una struggente e feroce Emily Blunt. Forse solamente la Jean Tatlock di Florence Pugh può farlo, lei che è Eros e Thanatos assieme, è portatrice di quella verità che Omero già legava alla disgrazia.
Nolan ci dona il film definitivo della nostra epoca
Ambiguità morale si diceva poc’anzi e Oppenheimer ne è ricolmo dall’inizio alla fine, interessa la vita privata così come la natura stessa della fisica, della scienza, non più qualcosa di universalmente utile all’uomo, ma di schierato, di parziale. Robert che tradisce amici e mogli, che è comunista ma poi decide di smettere di esserlo, che abbraccia l’utilità della bomba su civili inermi come estrema ratio per cancellare tutte le guerre, per salvare vite. Christopher Nolan lo rende vittima di continue epifanie, visioni mistiche, viene sommerso dalla sofferenza che la sua mente, le sue mani, quelli degli altri, sa che hanno causato. L’ambiguità riguarda la stessa natura della scienza, non solo dell’atomo. Crede nella bomba come mezzo di pacificazione, mette al servizio di questo la sua e altrui conoscenza in fieri, basata su quella fisica che in nazisti indicavano come scienza dei giudei, ed è un’Odissea del possibile e del fallace magnifica. Questo anche grazie ad una fotografia sensazionale di Hoyte van Hoytemach, che unita al maestoso impianto sonoro concepito da Ludwig Göransson, rende l’insieme un’avventura degna degli Argonauti, dei primi esploratori sul Rio delle Amazzoni o dei primi profeti. Scoperta significa rivalutazione, creazione di un nuovo credo che deve essere anche morale, non solo scientifico. Nasce non solo la bomba a Los Alamos, ma un nuovo modo di concepire la vita umana, l’umanità su questa terra, il suo rapporto con il divino.
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di Giulio Zoppello www.wired.it 2023-07-24 11:30:00 ,