Anche il leader di Italia Viva sarebbe stato avvistato al Twiga. Calenda smentisce l’addio di Carfagna: «Lo esclude lei stessa»
Un voto oggi e una strizzatina d’occhio domani, Matteo Renzi sembra aver superato la sottile linea rossa che separa la terra di mezzo del Terzo Polo dal campo della maggioranza di governo. È pronto ad approvare l’elezione diretta premier, ha detto sì alla delega fiscale (come Calenda) e no al salario minimo invocato da Schlein, Conte e dal leader di Azione. Ha esultato per l’abolizione del reddito di cittadinanza, ha applaudito Carlo Nordio sulla giustizia, ha difeso la commissione d’inchiesta sul Covid e via così, un passo verso destra e l’altro pure. C’è chi lo vede predestinato a far da «stampella» a Giorgia Meloni. E se lui smentisce, dichiarando al Corriere che il dialogo sulle riforme «non si chiama inciucio, si chiama politica», lei teme invece che il «fattore R» finisca per destabilizzare la coalizione.
Giorni fa, a tavola con Salvini, Tajani e i capigruppo della maggioranza, la presidente ha provato a tranquillizzare i partiti giurando che Lega e Forza Italia non saranno fagocitati da Fratelli d’Italia alle elezioni europee. Lo ha fatto per puntellare il governo e scongiurare altri smarcamenti del leader della Lega, ma anche perché ben conosce i ragionamenti che Renzi va confidando a parlamentari e imprenditori: «Se Meloni farà il pieno di voti a Bruxelles, la maggioranza potrebbe…
Author: Monica Guerzoni
Data : 2023-08-05 19:48:07
Dominio: www.corriere.it
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