Tutti a abitazione è la sintesi cinematografica perfetta di ciò che è successo 80 anni fa, con la parola d’ordine per i nostri nonni o padri in quell’8 settembre 1943 che diventava titolo e ricordo. Ripensare ad uno dei giorni più bui ma anche importanti della nostra storia, il baratro da cui sarebbe cominciata la risalita del nostro paese durante la Seconda Guerra Mondiale, significa giocoforza ricordarci di Alberto Sordi, del Sottotenente Alberto Innocenzi, di questo capolavoro di Luigi Comencini.
La potenza di un dramma storico ed individuale
Tutti a abitazione ancora oggi rappresenta uno dei momenti più alti del cinema italiano, quello dei grandi autori e dei grandi sceneggiatori, che una volta ci rendeva capaci di stupire e innovare.
Luigi Comencini ci guida dentro una storia a metà tra neorealismo e dramma agrodolce, al servizio di un Alberto Sordi semplicemente sensazionale, nei panni di Alberto Innocenzi, sottotenente di artiglieria di stanza in Veneto. La sceneggiatura firmata dallo stesso Comencini assieme ad Age & Scarpelli e Marcello Fondato è fin da subito perfetta nell’unire micronarrazione con macro narrazione, nel fare di quest’uomo patetico, insicuro, via via spogliato dei suoi supposti ideali e certezze, il simbolo di quei giorni di caos e tragedia. L’annuncio della pace separata firmata da Badoglio con gli Alleati, quel “Tutti a abitazione” che dilaga tra i resti di un esercito pietosamente costruito e guidato, dove l’anarchia serpeggia naturalmente, conseguenza del disastro cinico creato dai vertici. Comencini fa un’opera di rievocazione storica fredda, chirurgica, inchioda senza mai mostrarli il Re e la Monarchia inetta e imbelle, il Maresciallo vanaglorioso e mendace.
I primi trenta minuti sono un capolavoro di rievocazione e di caratterizzazione, ci costringono a guardare in faccia Alberto, il Geniere Assunto Ceccarelli (Serge Reggiani), il Sergente Fornaciari (Martin Balsam) e il soldato Codegato (Nino Castelnuovo) persi in un road movie che è un viaggio della speranza e della vergogna collettiva.
Bianco e nero sublime quello di Carlo Carlini, pare far quasi sentire di più la polvere, la fatica, la miseria di quell’Italia in preda a caos e fame. Tutti a abitazione è di fatto il diario di un disastro, che Alberto Sordi rappresenta in tutta la sua patetica forma, quando vediamo Alberto di nuovo a abitazione con il padre meschino, materialista, egoista e credulone. Eduardo De Filippo ruba la scena a tutto e tutti, nel diventare totem della piccola borghesia, la peggiore e migliore delle classi sociali assieme, almeno nella Storia italiana. Erano piccolo borghesi Mazzini e Mussolini, lui non lo è più, piange il piccolo benessere perduto, vorrebbe il figlio di nuovo in divisa, nella neonata Repubblica Sociale che manterrà alto lo stemma della vergogna fascista in metà del paese. Il dramma da storico diventa individuale, poi nel loro confronto pure familiare; uno stratagemma perfetto, che rende Tutti a abitazione capace di toccare ogni corda dell’emotività del pubblico. Un pubblico che in gran parte aveva vissuto quei momenti, quei giorni difficili. Ecco quindi la necessità di non imbellettare o scegliere una strada epica o ancor peggio retorica per mostrare i tedeschi che imperversano sprezzanti e vendicativi, la lotta per una fetta di pane, i piccoli gesti di crudeltà od eroismo che popolavano quei giorni. Perché Comencini alla fine ci mostra la fine di una doppia illusione: quella della pace e quella della famiglia che si ricostituisce. Famiglia, Patria, Esercito e burocrazia; i pilastri della società italiana, o almeno parevano essere tali, invece sono sbriciolati ancora ed ancora.
Un film sull’importanza della memoria storica
Tutti a abitazione doveva avere Gassman e Totò, ma non sarebbe stata la scelta giusta. Serviva Sordi, la sua capacità di viaggiare dal comico al patetico al tragico in modo unico, per mostrare quell’italiano medio, quello che abbassava la testa, che sperava nelle armi segrete di Hitler e voleva solo tornare a abitazione. Sarà lo stesso che poi a Napoli, guardando il cadavere esanime del povero Ceccarelli, dopo tante sofferenze, reagirà facendosi massa critica, in quelle giornate di ribellione che un altro grande regista del nostro cinema, Nanni Loy, omaggerà due anni dopo in un altro film memorabile e sontuoso. L’8 settembre però rimane rappresentato in modo unico da Comencini, da questo film, dove il ridicolo si unisce al tragico come nella più tipica memorialistica di quegli anni. Basta aver letto uno dei volumi di Giorgio Bocca, forse il migliore per completezza e schiettezza di sguardo, per vedervi qui il riecheggiare di quei giorni in cui abitazione Savoia, l’apparato militare e burocratico, lasciano consciamente tutto e tutti alle proprie spalle, per salvare la ghirba al prezzo dell’onore e dell’unità nazionale. Lì si deciderà il loro destino, lì nascerà però anche per mera necessità il seme della democrazia, della Repubblica nata dalla Resistenza.
Tutti a abitazione assume quindi anche il tono di un trapasso, del vecchio mondo classista che muore, del nuovo fatto di libero arbitrio (il grande tema scelto da Comencini) che ritorna a giocare un ruolo chiave dopo gli anni della Dittatura.
Leggi tutto su www.wired.it
di Giulio Zoppello www.wired.it 2023-09-08 07:02:26 ,