Il cervello è il più misterioso tra gli organi, complice una certa inaccessibilità che ne ha ristretto a lungo le possibilità di studio, relegandole per lo più alle analisi post-mortem. Eppure anche i suoi aspetti più misteriosi non sono destinati a durare a lungo. Ben consci che c’è ancora spazio per studiare, e per rivedere le conoscenze che abbiamo accumulato, sappiamo sempre di più sul cervello. Oggi in particolare, con l’arrivo in contemporanea di un gran lavoro, presentato come il più grande atlante delle cellule del cervello, fotografate per caratteristiche funzionali e distribuzione. Ventuno studi, una mole enorme di dati (anche stavolta messi insieme grazie alle analisi di cellule prelevate da donatori morti), un nuovo bagaglio di conoscenze che promette di cambiare il modo con cui guardiamo al cervello, quello con cui facciamo ricerca, e come potremmo magari comprendere e curare le malattie neurologiche e neuropsichiatriche.
Acciuffare il significato di un lavoro così grande non è semplice, ma possiamo provarci. I ventuno studi presentati oggi sulle pagine delle riviste del gruppo Science arrivano dai team di ricercatori impegnati nel Brain Research through Advancing Innovative Neurotechnologies (BRAIN) Initiative – Cell Census Network (BICCN) del National Institute of Health, un progetto internazionale per lo studio delle cellule del cervello della nostra specie, dei primati e dei roditori, con lo scopo di far luce sulle loro funzioni, sulla loro localizzazione, sull’evoluzione e sullo sviluppo del cervello. Nel 2021 erano già arrivati i primi risultati del progetto, con la pubblicazione di un corposo volume di studi sulla corteccia motoria. Oggi questi ventuno studi ampliano il panorama, mostrandoci diverse cose su quell’ammasso di 160 miliardi di cellule, tra neuroni e cellule non neuronali, che costituisce il nostro cervello. Tutto questo grazie a un mix di analisi di anatomia, imaging e soprattutto biologia molecolare, come quelle che analizzano in che modo sono espressi i geni nelle diverse cellule (attraverso l’analisi dell’Rna o l’epigenetica per esempio), che ci permettono di capire meglio come funzionano e come sono organizzate le cellule del cervello, come si evolvono nel tempo.
Tremila cellule diverse
A guidarci in questo lavoro immenso è una perspective che accompagna la pubblicazione di alcuni di questi articoli, a firma di Alyssa Weninger della University of North Carolina at Chapel Hill e Paola Arlotta del Broad Institute of MIT e della Harvard University. Uno dei risultati che sembra emergere con più chiarezza è che il cervello è sì organizzato in sezioni con funzioni dedicate – pensiamo solo alle aree del linguaggio, a quelle della visione, al movimento o al pensiero astratto – ma questa specializzazione è solo in parte attribuibile alle cellule che abitano le diverse aree.
Ovvero, è innegabile che esistano tantissimi diverse specializzazioni cellulari (più di 3000 arriva a stimare uno degli studi presentati oggi) e che esista una notevole diversità sia per quanto riguarda le cellule neuronali che quelle della glia (le cellule non nervose che contribuiscono a formare il sistema nervoso, con funzione principalmente di protezione e supporto) nelle diverse regioni del cervello, in alcune più di altre. Ma, come scrivono le esperte, a variare sono piuttosto le proporzioni dei diversi tipi cellulari e la loro localizzazione. La specializzazione in questo senso, scrivono Weninger e Arlotta, è piuttosto il prodotto di un’organizzazione e dell’abbondanza delle diverse cellule che una diversità funzionale in sé.
Migliorare i cervelli in provetta
Una grossa fetta degli studi presentati riguarda poi le differenze tra cervelli umani e quelli di altri mammiferi, primati soprattutto, nel tentativo di trovare indizi che possano spiegare cosa ci distingua dai nostri parenti più vicini, come scimpanzé, gorilla, macachi e uistitì e di capire magari quali modelli siano più adatti di altri a studiare le malattie nell’uomo o come costruire meglio cervelli in provetta (organoidi), ricordano le ricercatrici. Uno degli studi presentati suggerisce, anche in questo caso, come la differenza si abbia nella proporzione dei diversi tipi cellulari, anche se abbastanza conservati per tipo e organizzazione strutturale, e che la specificità umana sia racchiusa in appena un centinaio di geni che si esprimono in maniera specie-specifica. Questi geni, spiegano gli esperti, avrebbero soprattutto a che fare con il modo con cui si formano i circuiti neuronali.
Possibili applicazioni future
Gli articoli pubblicati oggi – con il contributo anche di ricercatori italiani, come quelli che firmano la mappatura neuronale dell’area di Broca, quella dedicata al linguaggio – sono stati accolti come una pietra miliare nello studio del cervello. Tra i lavori pubblicati c’è spazio anche per ricerche che aiuterebbero a comprendere cosa succede quando qualcosa si inceppa nello sviluppo cerebrale. In uno degli studi presentati, per esempio, si osserva come l’infiammazione cerebrale impedisca la maturazione di alcuni neuroni a livello del cervelletto, un’area coinvolta, tra l’altro nella regolazione delle emozioni e del linguaggio. E questo, a detta degli autori, potrebbe per esempio aiutare a capire in che modo l’infiammazione precocemente nella vita contribuisca a condizioni come la schizofrenia o l’autismo. Un risultato preliminare anche questo, ma che, concludono gli esperti, aiuta a comprendere come studiare in dettaglio le cellule del cervello, in questo caso studiando come cambia il loro profilo di espressione genica, possa gettare luce su quel che accade in caso di un alterato sviluppo cerebrale. E magari come intervenire al bisogno.
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di Anna Lisa Bonfranceschi www.wired.it 2023-10-15 04:40:00 ,