È in macchina verso Mountain View, in agenda c’è un appuntamento con Google per discutere di intelligenza artificiale. Anna Ascani, vicepresidente della Camera in quota Pd, è a metà del viaggio negli Stati Uniti: con le colleghe Ilaria Cavo di Italia al Centro e Maria Rosaria Tassinari di Forza Italia guida la delegazione del comitato di vigilanza sull’attività di documentazione della Camera che, dopo il ciclo di audizioni a Roma, ha fatto tappa oltreoceano per continuare a indagare il mondo dell’AI. Obiettivo valutare futuri interventi legislativi e immaginare come sfruttare a Montecitorio l’intelligenza artificiale per rafforzare il processo democratico.
“La mia impressione è confermata: viviamo in un momento di rivoluzione totale, l’AI è trasversale ed è in grado di rivoluzionare il nostro stare al mondo. Anzi, lo sta facendo e per chi fa il regolatore non è un elemento secondario: servono guard rail in questa autostrada dove si corre troppo veloce”, dice Ascani in un’intervista telefonica con Wired.
“Un nuovo patto sull’AI con regole globali”
Da parte delle aziende più importanti dell’ecosistema dell’innovazione, racconta Ascani, “c’è grande consapevolezza della necessità di avere delle regole chiare, senza però limiti all’innovazione”. Il comitato nel corso della settimana americana ha incontrato, oltre Google, anche Salesforce, OpenAI, Amazon, Microsoft e Meta. “Tutti conoscono l’impatto che l’AI può avere sul vivere comune, ma le aziende chiedono principi condivisi per stabilire le nuove regole della convivenza sociale: più i paletti sono locali e più sarà difficile per loro riuscire a rispettare i vincoli, perché le Big Tech si muovono su un mercato globale e anche la competizione è più complessa se lo scenario regolatorio è diversificato in ogni paese”, nota la deputata.
A muoversi per primi, sottolinea Ascani, dovrebbero essere Unione europea e Stati Uniti, con un “accordo” sull’AI che è visto come “il minimo da raggiungere”. Uno step in più è allargare al G7, all’interno del quale possono essere messe le basi per “regole comuni: anche tra paesi partner oggi ci sono grandi differenziazioni sulla tecnologia”. L’impostazione da seguire, secondo Ascani, “è quella europea che con l’AI Act pone l’uomo al centro: l’innovazione è un supporto al lavoro e bisogna evitare, a ogni costo, l’utilizzo dei programmi di intelligenza artificiale per il controllo sociale, puntando alla tutela del copyright e alla protezione dei dati personali”. L’elefante nella stanza è Pechino: la Cina è tra i paesi che più investono sull’intelligenza artificiale, ma non ama scendere a patti con i rivali occidentali. “Coinvolgerla non è semplice, anche se uno sforzo va fatto”.
AI a supporto del Parlamento: due idee
Dalle società incontrate negli States sono arrivati anche gli stimoli giusti per quello che Ascani chiama “l’altro pezzo di lavoro che dobbiamo fare: portare l’AI a supporto dell’attività parlamentare. La democrazia dei robot non ci interessa, ma l’intelligenza artificiale può dare una mano nella redazione dei documenti parlamentari, come i dossier dei servizi studi che sono a disposizione dei deputati”. L’idea, racconta, è sviluppare un programma per permettere ai membri della Camera di utilizzare l’AI per avere un quadro definito su un tema specifico. “L’AI, connessa a database sicuri e certificati, può facilitare il lavoro di ricerca e raccolta dati che dura giorni, generando in poco tempo un dossier chiaro e solido”.
Non solo. Il comitato di vigilanza sull’attività di documentazione della Camera punta a utilizzare l’AI per aprire Montecitorio agli elettori, “con un sistema che renda più semplice l’accountability attraverso una AI conversazionale in grado di rispondere prontamente sull’attività dei singoli parlamentari, senza migliaia di link da scrutare”. L’Italia questa partita la gioca d’anticipo: “Il Congresso americano ci sta lavorando, non molte altre istituzioni. Potremo avere un ruolo da pionieri, anche se – chiosa Ascani -. La sperimentazione è delicata: non bisogna sbagliare, dalle aziende c’è la volontà di supportare questo sforzo perché capiscono che così potranno avere un impatto importante sulla tutela della democrazia. Tra tutti i beni oggi è tra quelli a maggior rischio”.
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di Michele Chicco www.wired.it 2023-10-26 07:40:42 ,