LONDRA — Il senso di una vita. Dean, il giovane papà di Indi Gregory, risponde a Repubblica con la voce spezzata da dolore e attesa laceranti. Perché oggi, alle 15 italiane, il giudice inglese Robert Peel potrebbe di nuovo decidere di terminare l’esistenza della sua piccola di 8 mesi «per il suo miglior interesse, poiché vittima di una gravissima e degenerativa patologia mitocondriale».
L’altro giorno Dean, 37 anni, e sua moglie Claire, 35, l’hanno impedito ai medici. Stavolta, nonostante l’intervento dell’Italia e la cittadinanza concessa a Indi per farla trasferire al Bambino Gesù di Roma, potrebbero staccare la spina alla piccola ricoverata all’ospedale Queen Medical Center di Nottingham.
Signor Gregory, avete ancora speranza di salvare Indi?
«Sì. Ma stiamo vivendo momenti tragici. Ieri il tribunale ci ha chiesto come vogliamo far morire nostra figlia: se in ospedale, in hospice (clinica per malati terminali, ndr) o a casa. Noi abbiamo chiesto a casa e una revisione del protocollo delle cure palliative che ne accelerano la morte. Ma la sanità e i tribunali britannici vogliono negarci anche questo».
Quindi le promesse di un trasferimento di Indi in Italia sono svanite?
«Non ancora. Quello è un processo separato per cui sono in corso trattative anche a livello politico. O magari il giudice si pronuncerà in tal senso. Non lo sappiamo».
È vero che due giorni fa avete impedito ai medici di staccare la spina a Indi?
«Hanno minacciato di farla morire in ospedale, senza neanche darci la possibilità di portarla a casa. Dopo la cittadinanza italiana, ho dovuto presentare un altro ricorso lampo. È una continua corsa contro il tempo. Non potete capire lo stress che Claire e io stiamo provando».
L’Italia è l’ultima speranza?
«Sì. Non sappiamo come ringraziare il vostro Paese, la premier Meloni e gli italiani. Siete meravigliosi. Magari il nostro primo ministro avesse lo stesso coraggio».
Ha sentito Meloni?
«Non ancora, ma so che ha il mio numero di telefono».
In Italia molti non riescono a capire come nel Regno Unito siano i giudici, e non i genitori, ad avere l’ultima parola sul destino di un figlio.
«È un sistema folle e impietoso, che mi fa vergognare di essere britannico. In tribunale, da genitore, non hai alcun diritto. Tutto il sistema è contro di te. Non auguriamo a nessuno quanto stiamo passando. Indi è nostra figlia, e vogliamo che continui a vivere, visto che è ancora possibile. Perché non ce lo permettono?».
Ma secondo i medici e giudici inglesi, Indi è sottoposta a una atroce sofferenza e purtroppo morirebbe comunque.
«Sappiamo bene che Indi non può essere curata. Ma c’è il caso di un bambino americano che, con la stessa sindrome, a 9 anni è ancora vivo. Anche Indi, con il trattamento giusto in Italia, potrebbe ancora vivere mesi o forse anni».
Cosa ve ne fa essere così sicuri?
«Indi è nata con questa grave patologia cardiaca e fluido nel cervello. Poi, a due mesi e mezzo di età, sono state scoperte le disfunzioni genetiche. Da allora l’approccio dell’ospedale è radicalmente cambiato. L’hanno data subito per spacciata. Nessun luminare del settore l’ha visitata. Ci hanno detto che avrebbe sofferto sempre di più, ma da come Indi interagisce non lo crediamo, e le recenti infezioni sono passeggere. La nostra terza figlia di 6 anni è andata ogni giorno a trovarla in ospedale. Non ha ancora capito cosa sta succedendo. Spero solo di non doverle mai spiegare perché qualcun altro abbia deciso la morte della sorellina Indi».
[email protected] (Redazione Repubblica.it) , 2023-11-08 04:39:19 ,www.repubblica.it