Il 25 novembre ricorre il settantesimo della Partita del Secolo: l’Inghilterra venne sconfitta a Wembley per la prima volta da una squadra non britannica, l’Ungheria. Una nazionale capace di un record incredibile: dal 1950 al 1956 giocò 50 partite, ne vinse 43, ne pareggiò 6 e ne perse una. Ma quella fu la finalissima della Coppa Rimet del 1954, la più importante di tutte, dove era la stra-favorita anche grazie a imprese come quella di Wembley, che ripercorriamo con un estratto dal libro di Luigi Bolognini “La squadra spezzata”, edito da 66thand2nd.
Oggi alle 17,30 la partita verrà proiettata alla Casa del Cinema di Venezia (Salizada San Stae 1990) durante un dibattito tra Bolognini, Alberto Furian (autore di “Wembley 1953”) e Davide Piasentini. A seguire, il documentario “L’Ungheria tra Puskás e Stalin” di Jean–Christophe Rosè.
A Wembley c’erano le ultime sgambate dei giocatori. O meglio, gli ungheresi correvano, gli inglesi li guardavano e si davano di gomito: «Non hanno neppure delle scarpe, sembrano delle pantofole. E guarda il capitano, quant’è basso e ciccione! Ce lo mangeremo, lui e tutti gli altri» disse a un compagno il capitano Billy Wright. Che forse ne capiva di calzoleria – in effetti l’attrezzatura degli ungheresi era proletaria in ogni senso e le scuciture delle scarpe erano approssimativamente nascoste da toppe –, ma di calcio non tanto, visto che di lì a poco sarebbe deceduto a rincorrere per il campo quello basso e ciccione che si buttava in attacco come un folle.
Però la vera differenza la fecero i due ct, che avevano preparato la sfida in modo diametralmente opposto. Sebes era andato a Londra poco tempo prima a vedere Inghilterra-Resto d’Europa (4-4), ed era sceso a calcare il campo di Wembley, annotando tre cose: dove sarebbe stato più o meno il sole nell’ora della partita, il rimbalzo strano del pallone, mai più alto di mezzo metro, e le dimensioni del terreno, centodieci metri per settanta, più largo di quelli ungheresi. Così a Budapest scelse per gli allenamenti il campo con le misure più vicine a Wembley e fece usare ai suoi tre palloni inglesi, molto più pesanti e più duri, quasi legnosi, di quelli ungheresi. (…)
Fu ben diversa la preparazione per il match di Winterbottom, che aveva salvato la panchina da quell’ignominioso 0-1 con gli Stati Uniti del 1950, eppure non aveva imparato nessuna lezione e si mosse con la presunzione e la leggerezza di tre anni prima, simboleggiate dalla risposta che alla vigilia diede a Gianni Brera, proprio quello lì che aveva inventato la definizione di libero e che forse sotto sotto simpatizzava per l’Aranycsapat avendo avuto una nonna ungherese. Il giornalista italiano gli chiese se avrebbe marcato a uomo, con lo stopper, il falso centravanti Hidegkuti e se avrebbe davvero messo due mediani sui due reali attaccanti, Puskás e Kocsis. Sdegnoso e sdegnato («Mi ha guardato come una dama può guardare in giardino una lucertola scodata» scrisse il giornalista), il ct rispose: «Il nostro stopper seguirà Hidegkuti fin quando lo riterrà opportuno». Più tardi Brera disse a un collega: «Domani ne prendono sei».(…)
Fantasmi della mente che sparirono venticinque secondi dopo che la partita era iniziata davanti a centodiecimila spettatori, di cui cinquantaseimila in piedi. Palla al centro, un paio di schermaglie finite in fallo laterale, poi da Kocsis a Puskás, che la ridiede a Kocsis che la passò a Hidegkuti e scattò in avanti assieme a lui. Hidegkuti partì da dietro, quasi da centrocampo, e lo stopper Johnston, che era avanzato per stargli addosso, iniziò a correre a ritroso, senza mai affrontarlo direttamente. Aspettava che arrivassero a dargli manforte dei compagni di reparto. Che però nello stesso momento avevano altro a cui pensare, dato che si videro arrivare addosso anche Puskás, e Kocsis, e dalle fasce Czibor e Budai. Johnston rinculò, rinculò, rinculò, e a furia di rinculare Hidegkuti si trovò liberissimo al limite dell’area e da lì poté tirare un diagonale arrotato all’incrocio più lontano. Non era passato mezzo minuto dal fischio d’inizio e l’Ungheria era già in vantaggio. (…)
Gli inglesi considerarono l’episodio un incidente di gioco e continuarono a marcare l’11 col 2, il 7 col 3, il 10 col 4, l’8 con l’8 e soprattutto il 9 col 5. Ma quel 9 era in realtà un centrocampista, e giocando così dietro creava spazi per gli inserimenti dei compagni, soprattutto Bozsik, schierato quasi in attacco a fianco di Kocsis. Era una delle mosse decise apposta da Sebes per questa partita: le altre erano un arretramento proprio davanti a Grosics di Lóránt, con Zakariás che ne prese il posto, e un aiuto molto maggiore ai terzini di fascia da parte di Budai e Czibor. Ma la mossa chiave era appunto quella di Hidegkuti, che fece ammattire Johnston, che nel Blackpool era abituato a tritare gli avversari che gli scappavano. Qui invece veniva attaccato. Però, per il capriccioso incedere che ogni tanto ha il calcio, fu giusto lo stopper a dare via all’azione dell’1-1, prendendo palla, servendo in profondità Mortensen che toccò per Sewell, abile a battere Grosics. Wembley esultò per il sollievo: allora era stato davvero un caso, quel gol iniziale, era stato solo il frutto di marcature ancora da aggiustare al fischio di avvio.
Infatti al 20’ arrivò il secondo gol. Solo che era il secondo di Hidegkuti: gran merito fu di Puskás, falciato in area dal terzino Ramsey eppure capace da terra di ruotare in modo quasi lascivo, da geisha, su quelle chiappotte grassocce ma agili, intravedere il numero 9 e scodellargli – schiena sul prato – un assist d’esterno sinistro. E subito dopo toccò al capitano. Il suo gol del 3-1 fu qualcosa di indimenticabile: Kocsis diede palla a destra a Budai che sulla stessa fascia lanciò per Czibor che allungò per il capitano che al limite destro dell’area piccola evitò Wright, che stava arrivando in tackle come un tram, prima tocchicchiando la palla con il sinistro, il destro, il sinistro, il destro, il sinistro, il destro, il sinistro, poi con un colpo di tacco, quindi con una carezza di suola che mandò l’avversario disteso a pelle di leone. Infine, diede una botta sul primo palo. Se Béla Bartók fosse stato ancora vivo, ne avrebbe ricavato un’altra delle sue danze ungheresi. Di certo era un gol che spiegava tutto di quella squadra, almeno a chi voleva capire, quindi non a Winterbottom: il centravanti (che aveva l’8 sulla maglia, come un interno destro) aveva servito l’ala destra, che era sulla tre quarti e aveva servito in profondità per l’ala sinistra, che però si trovava a destra, che aveva fatto assist per l’interno sinistro, che a sua volta si trovava a destra, in area. Nessuno era dove teoricamente doveva essere. Eppure tutto funzionava alla perfezione. Anzi, proprio per questo.
Il primo tempo finì 4-2: ancora Puskás corresse con lo stinco esterno sinistro una punizione di Bozsik all’incrocio, poi un diagonale mancino di Mortensen. Alla fine fu 6-3: nella ripresa segnarono presto Bozsik, riprendendo un cross che la testa quadrata di Kocsis aveva sbattuto contro il palo, e ancora Hidegkuti, che mise in rete un’azione dei compagni fatta di undici passaggi di prima, con la palla che sembrava una trottola impazzita e invece si muoveva come guidata da un’intelligenza superiore. E qui la tempesta si acquietò: a mezz’ora dalla fine ci fu un rigore di Ramsey, tanto per inzuccherare un po’ una pillola fatta di bile e fiele, poi l’Ungheria continuò con le folate in avanti, ma senza più riuscire a segnare. E anzi, a impressionare fu soprattutto una statistica: trentacinque tiri in porta degli ungheresi, e cinque degli inglesi (che quindi, paradossalmente, erano stati maestri di concretezza). «È stata una gara tra cavalli da corsa e cavalli da tiro» commentò l’inglese Finney, mentre lo stadio esplodeva in un inno al fair play fatto di applausi scroscianti e sinceri verso il nuovo calcio.
Inghilterra-Ungheria 3-6 (2-4)
Inghilterra: Merrick – Ramsey, Johnston, Eckersley – Wright, Dickinson – Matthews, Taylor, Mortensen, Sewell, Robb. All: Winterbottom
Ungheria: Grosics (78’ Gellér) – Buzánszky, Lóránt, Lantos – Bozsik, Zakariás – Budai, Kocsis, Hidegkuti, Puskás, Czibor. All: Sebes
Marcatori: 1’ Hidegkuti, 14’ Sewell (I), 22’ Hidegkuti, 25’ Puskás, 29’ Puskás, 38’ Mortensen (I), 50’ Bozsik, 53’ Hidegkuti, 57’ Ramsey (I)
Arbitro: Horn (Olanda)